Protezione civile modello Scelba

 di Alberto Burgio, da Il Manifesto on line
Ex ungue leonem: basta un’unghia per capire con chi si ha a che fare. Il principio vale anche per un’istituzione niente affatto marginale – la Protezione civile – che, sotto il materno nome, è in realtà un vettore del più generale processo di privatizzazione autoritaria dello Stato. Che procede nella pressoché generale disattenzione, o complicità.
In paesi ad alto rischio sismico e idrogeologico la Protezione civile è un fondamentale strumento di autoprotezione dei cittadini, costituito da una rete di soggetti, volontari e forze di soccorso, dotati di competenze scientifiche e operative. Con una pericolosa particolarità: dover fronteggiare emergenze e calamità naturali impone che la Protezione civile possa agire in deroga alle leggi ordinarie, tramite ordinanze e cumulando poteri normalmente sottoposti al controllo di organismi elettivi o ispettivi. Proprio per questo, si richiede la dichiarazione di stato di calamità naturale da parte dei governi, che, di norma, sono molto attenti in materia. Ma c’è un ma, che ci riporta bruscamente all’attuale fase politica, alla crisi di legittimazione dei sistemi democratici e alla risposta neo-oligarchica delle classi dirigenti.
In Italia è sempre più marcata la propensione del governo di abusare delle clausole emergenzialistiche per ampliare a dismisura i propri poteri e agire di fatto al di fuori della legge. Dal 2001 a oggi la Protezione civile ha varato oltre 600 ordinanze, gran parte delle quali nulla ha a che fare con calamità naturali. Si va dalle ordinanze per «emergenza traffico», che in molte città (Roma, Milano, Napoli, Catania) hanno permesso ai sindaci di agire senza un voto dei Consiglio comunale, a quelle per i grandi eventi come il G8 previsto alla Maddalena e dirottato all’Aquila, i mondiali di nuoto e persino i funerali di Giovanni Paolo II. In tutti questi casi il governo ha avuto mani libere, semplicemente perché se le è sciolte da sé, indossando le vesti dell’angelo custode della sicurezza pubblica. In taluni casi si sono mobilitate anche funzioni militari. È avvenuto nella Campania governata dalla Protezione civile per l’emergenza rifiuti, con la dichiarazione di siti di interesse strategico militare per le discariche e l’inceneritore di Acerra. A maggior ragione i poteri di ordinanza sono usati per una incontrollata gestione del territorio quando si tratta di calamità naturali. All’Aquila, con questo sistema, sono state imposte trasformazioni urbanistiche radicali come il piano C.a.s.e. E qui viene il bello.
Con un decreto-legge (il 195, in discussione in senato) il governo ha istituito la Protezione civile Spa. È un privatizzazione, ma non la solita. Continua, beninteso, la rapina «modernizzatrice» delle risorse pubbliche, in linea con le ordinanze della Protezione civile che hanno già fruttato appalti per miliardi di euro (300 milioni alle imprese Marcegaglia solo per il G8 abortito della Maddalena). Ma la posta in gioco è ben altra.
Il decreto amplia ulteriormente i poteri dell’esecutivo, prevedendo la figura dell’«emergenza socio-economico-ambientale», una dizione talmente vaga da permettere, per dir così, la normalizzazione dell’emergenza. Torna alla mente una legge speciale firmata da Scelba nel 1951 (VII governo De Gasperi) che, «in caso di eventi che costituiscano pericolo o danno per la incolumità pubblica delle persone e delle cose», prevedeva il conferimento dei pieni poteri al governo, compresa la facoltà di derogare alle leggi vigenti e di «requisire prestazioni personali».
Come si vede, lo stato d’eccezione esercita sui nostri politici un fascino potente. E lo strumento è anch’esso in qualche modo un classico: quel processo di strisciante svuotamento del parlamento ed incapacitazione del potere giudiziario che Foucault chiamava «governamentalizzazione». Di questo si tratta. Se la democrazia è il governo delle leggi, che cos’è un sistema in cui l’esecutivo dispone delle leggi a proprio piacimento?
Del resto, Berlusconi e i suoi non inventano nulla. Il modello è la Fema, l’Agenzia federale per la gestione dell’emergenza alla quale, dopo l’11 settembre, il governo Bush attribuì poteri militari talmente ampi da far parlare di un governo segreto degli Stati uniti, dotato del potere di sospendere la Costituzione, imporre un comando militare e istituire campi di concentramento.
Tornando a noi, sessant’anni fa in parlamento l’opposizione fu durissima. Giorgio Amendola osservò che il governo avrebbe potuto definire calamità naturale anche «il riacutizzarsi di contrasti politici», e su questa base mettere in atto un colpo di Stato. La legge proposta dal ministro Scelba fu fermata. Torna oggi, sotto mentite spoglie, come misura preventiva contro il «riacutizzarsi dei contrasti» sempre possibili in una fase di devastante crisi economica. Insomma, la storia si ripete. Salvo che ai tempi di Scelba c’era il Pci.

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