C’era una volta il gruppo ‘Famiglie Multiproblematiche’ del Distretto di Reggio Emilia dell’Ausl

di Deliana Bertani

Reggio E., 23.10.19

 

Sono una psicoterapeuta. Ho lavorato dal 1971, e fino all’agosto 2009 nel ‘pubblico’, da ultimo come responsabile del Servizio di Psicologia Clinica del Distretto di Reggio dell’Ausl, all’interno del quale è nato il gruppo distrettuale ‘Famiglie Multiproblematiche’, che comprendeva operatori dei vari servizi dell’Ausl (Psicologia Clinica, Psichiatria, Sert, NPI, Servizio Sociale Ausl), e quelli dei Servizi Sociali dei vari Comuni del distretto, fra i quali ovviamente quelli del Comune di Reggio Emilia.

I compiti che afferivano a questo gruppo comprendevano tutti i problemi di natura clinica che le famiglie multiproblematiche richiedono, a partire dall’analisi dei loro complessi bisogni di cura e dalla conseguente messa in atto di quelle intricate forme di lavoro di rete che questo tipo di famiglie richiede.

Lavoro che comprendeva il problema dell’abuso e degli affidi, ma che andava ben al di là di essi, e che comprendeva anche la ‘cura’ del gruppo stesso degli operatori coinvolti sottoposti ad una quotidianità particolarmente stressante: nel nostro caso la ‘cura’ del gruppo era centrata sul lavoro di supervisione affidato al Prof. Busso, dell’Univ. di Torino, e al continuo confronto al nostro interno che, fra l’altro, ci ha condotto nel tempo ad affinare le nostre capacità di rapporto con quei gangli della rete più ampia (Ospedale, Magistratura, Forze dell’Ordine, volontariato, etc) che orbitano intorno al quotidiano lavoro di cura.

Inutile aggiungere che tutto questo, a parte le prestazioni del Prof. Busso, non è venuto a costar nulla alle istituzioni pubbliche; ha sedimentato nel tempo un insieme di competenze individuali e gruppali; ha oliato e affinato i rapporti inter-professionali e inter-istituzionali; e quel che più conta: ha determinato la nascita e la coltivazione di uno spazio mentale di gruppo volto a farsi carico del dolore e della sofferenza di cui le famiglie multiproblematiche sono portatrici.

E’ ovvio che, segnata da questa esperienza, io abbia vissuto fin dall’inizio tutta la la vicenda di Bibbiano con dolore e con sofferenza. Finora avevo taciuto anche perché mi pare che le notizie che traspaiono siano state usate per fini ‘altri’ che nulla hanno a che vedere con la vicenda in sé. 

Ma le parole che Daniela Scrittore, attuale funzionaria del “Servizio di Programmazione del sistema Welfare del Comune di Reggio Emilia”, nonché – da quando mi risulta – almeno nel 2016 “Coordinatrice delle linee di indirizzo Maltrattamento e Abuso della Provincia di Reggio Emilia”, ha pronunciato nella commissione regionale sui fatti di Bibbiano mi hanno spinto a rompere il silenzio.

La Scrittore, stando a quanto riportato dalla “Gazzetta di Reggio” il 14.10.19, a pagina 3, nell’articolo “Due settimane fa ha parlato in commissione regionale”, in quella occasione avrebbe detto, fra l’altro: “Perché i Comuni ricorrono ai centri privati? Perché il servizio pubblico in ambito sanitario purtroppo spesso non è sufficiente e non sempre riesce a garantire la cura. Non abbiamo luoghi adatti per fare colloqui e accogliere gli utenti. E’ come dire alle famiglie ‘Ti ho fatto una buona diagnosi, ma ora non posso metterti a disposizione il trattamento’

Ecco, vorrei sottolineare che, almeno fino al 2009 nel ‘pubblico’ quei luoghi adatti c’erano; avevano svolto nel tempo un lavoro che non costava nulla di più degli stipendi dei singoli operatori; erano basati  sul loro spassionato e appassionato impegno; e funzionavano perché a quei ‘luoghi’ fisici corrispondeva – come tentavo di dire sopra – un luogo mentale di gruppo che si era rivelato capace di pensare, programmare e operare -diciamo- senza eccessivi problemi; e dico ciò senza enfasi poiché difficilmente si può chiedere di più a un gruppo che operi su una problematica così difficile.

Ausl, Comune di Reggio e altre istituzioni hanno ritenuto poi di smantellare questa risorsa. Mentre poi di fronte alla prospettiva della nascita dell’Unione della Val d’Enza l’Ausl non battuto ciglio! eppure, a parte la sottoscritta, a quell’epoca la maggior parte di quegli operatori era ancora al lavoro.

 

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