‘Cantè a l’uòve’ e ‘Tuzzè a l’uòve’: due tradizioni pasquali andate perse a Locorotondo

di Dino Angelini

 

A fianco ed in rapporto con i grandiosi riti della liturgia quaresimale, moltissime sono le tradizioni popolari che nei secoli si sono diffuse in tutto il mondo cristiano, e specialmente nel bacino del mediterraneo.

Alcune di queste tradizioni sono ancora vive nel nostro territorio, come in molti altri paesi della Puglia: vedi ad esempio l’usanza di appendere in alcuni luoghi del paese la cosiddetta “Quarantana”, che simboleggia la quaresima, e che – almeno a Locorotondo – viene bruciata o presa a schioppettate proprio nel momento in cui le campane annunciano che Cristo è risorto. Altre invece nel nostro paese sembrano scomparse.

Ed è di due di queste vecchie tradizioni, intitolate ‘Cantè a l’uòve’ e ‘Tuzzè a l’uòve’, che voglio parlarvi:

 

‘Cantè a l’uòve’

 Al contrario della tradizione di ‘Tuzzè a l’uòve’ – che come vedremo sembra scomparsa non solo a Locorotondo, ma in tutta la Valle d’Itria, ‘Cantè all’uòve rimane ben viva sia nei paesi a noi più prossimi, sia (come del resto quella di ‘Tuzzè all’uòve) in luoghi lontani o lontanissimi da nostro borgo natio.

La tradizione di ‘Sce cantè all’uòve’, come è possibile vedere in rete (su Youtube, ad esempio), è ancora vivissima a Fasano – sia nel centro storico, che nelle frazioni – e in maniera più sporadica a Martina, ed è connessa  col Sabato Santo e con la fine della quaresima. Essa consiste nella formazione di gruppi di giovani che nella notte del Sabato Santo girano per i vicoli del paese, per le masserie e  per le contrade cantando, accompagnandosi con vari strumenti musicali, la canzone in dialetto fasanese ‘U Sàbbate Sànte’ (che che ho desunto dal web[1] e che potete vedere e leggere qui sotto), al fine di raccogliere delle uova o altre offerte ‘in natura’.

U Sàbbate Sànte’

I’arrevate u Sàbbate Sànte

Madre Marì s’à pùste lu mànte

nà sapàie pe ce scì

saula saule se ne partì.

 

I acchjì San Pite da nanze:

“Madra Marì cé vé truvanne?”

“Ho perduto il mio figliolo

sono tre giorni che non lo trovo”.

 

“Tu la pèrse i je l’aggie chiate

rite alli porte de Pelate

rite alli porte de Pelate

staie tutte flagellate”.

 

Tuppe tuppe rite a stì porte:

“Mamma mamma na pozze aprì

ca li Giudeie m’ane legate

corame d’aure m’ane levate”.

 

“Corame d’aure m’ane levate

corame de spene m’ane ‘nghiudate”.

 

“I vé addù meste ferrare

fatte fé nu pare de chiue

ni longhe i ni settéile

pe trapané la Carne Gentéile”.

 

“Ni longhe i ni ialande

pe trapané la Càrne Sànte”.

 

Chèra zìnghera maledètte

‘ngi li fascie longhe i strétte

i Creste a malédiscì

sèmbe spirte a fascie scì

 

“Ogni paése ch’adarrevé

iòtte dì nan la fé mé”.

 

Jisse Jisse pì mutande

damme l’uve du Sabbate Sànte

Jisse Jisse pi mutandòume

dàmme l’uve di paparoume.

 

I ce l’uve mi vu dé

u iaddenare t’aggia spascé.

 

I palòmma vola e sì,

buona Pasqua a segnerì.

I palòmma vola e no,

buona Pasqua a lor signò.

 

Molto simile, nel mio ricordo personale, era ciò che avveniva a Locorotondo, e la stessa cosa, secondo quanto ci dice l’amica Teresa Acquaviva[2],  avveniva a Martina:

Si trattava di canti con temi riferiti alla morte e Resurrezione di Cristo e al pianto della Madonna. Si cantava fino a quando i massari uscivano di casa, specialmente se era notte fonda o alba. Spesso il massaro e la sua consorte  stavano al gioco ma se si facevano attendere troppo i musicisti cominciavano a canzonarli, con frasi esplicite nei loro confronti. Così essi  si affacciavano all’uscio con numerose uova in mano da porre nel cesto che l’incaricato tra i  questuanti recava in mano. Poi seguiva un pasto da consumare insieme che la massara aveva preparato imbandendo una tavola in casa con salumi, formaggi, frittate e altre primizie di stagione. Talvolta si ballava la pizzica se i massari avevano tempo, anche la pizzica scherma che veniva interpretata da due uomini. Dopo ulteriori auguri la squadra di suonatori si congedava e si incamminava verso altre masserie. Qualche anziano racconta che  se i musicisti non erano bravi il massaro poteva sparare con il fucile per cacciarli. La verità è che se i massari non accoglievano i gruppi di questuanti questi andavano via maledicendo la masseria, ma bonariamente, senza la volontà di augurare vere sventure” (T.A.)

 

Gigi Rizzo – allievo del dialettologo Luigi Reho, e “custode della tradizione e del dialetto monopolitano” – testimoniando la presenza di questa tradizione anche a Monopoli, puntualizza[3]: sicantano dapprima le strofe in cui la Madonna è alla ricerca di suo figlio morto poi” si passa “al canto di questua che solitamente viene ripagato con l’offerta di uova”.

Questa distinzione fra canto religioso e ‘canto finale di questua’ a mio avviso è importante poiché ci permette di cogliere un’analogia fra il nostro ‘Cantè a l’uòve’ e la tradizione delle Langhe piemontesi di “Canté j’euv”, che avviene nella stessa sera del Sabato Santo, e che ha mantenuto ed anzi probabilmente esteso e ‘complicato’ il canto di questua, perdendo però ‘per strada’ la parte più propriamente religiosa[4].

In alcuni paesi del Salento invece il rapporto di vicinanza e di scambio con le tradizioni greche (e ortodosse) ha condotto alla nascita nei paesi della Grecìa salentina di una tradizione che in termini calendariali non è più strettamente legata alla scadenza del Sabato Santo, e si basa su vari canti della Passione fra i quali quello di “Santu Lazzaru”, in cui si mette in musica – anche qui con mille varianti paesane – tutto il dramma della quaresima[5].

II rapporto con le tradizioni greche appare in tutta la sua pregnanza ove si consideri che nella tradizione greco-ortodossa la festa per la resurrezione di Lazzaro ricorre il sabato che precede le Palme, e che in questa occasione, a fianco ai riti liturgici ortodossi,  s’intonano canti quali ad esempio a Corfù (cioè a un tiro di schioppo dal Salento!) la “Kalanda di Lazzaro[6] che accompagna una questua fatta dai bambini, che girano di casa in casa raccogliendo le uova, che poi saranno dipinte di rosso per il giorno del Giovedì Santo ortodosso.

 

‘Tuzzè a l’uòve’

Vivo e lavoro a Reggio Emilia dal settembre 1972: fui assunto come psicologo nel CIM (Centro di Igiene Mentale) di Jervis, e fino al settembre del 1974 lavorai nel territorio dell’Appennino reggiano,  ed in particolar modo a Castelnovo Monti: la piccola capitale di quella comunità montana.

Ebbene qualche anno fa ho letto che i cittadini di Castelnovo Monti hanno ripreso una vecchia tradizione che nei giorni di Pasqua e di Pasquetta li vede sfidarsi in piazza nel gioco dello Scusìn[7]: cioè in un gioco in cui due concorrenti, armati ciascuno di un uovo sodo colorato, battono lievemente fra di loro le due uova, fino a che uno dei due rompe il guscio dell’uovo appartenente all’altro concorrente, e come premio conquista l’uovo che ha rotto.

Questa notizia, letta sui giornali locali e corredata da tante foto, mi ha fatto tornare in mente uno dei pochi ricordi d’infanzia di cui mio padre qualche volta mi aveva parlato: quello relativo alla tradizione di “Tuzzè all’uòve”, che quando era bambino lo aveva visto protagonista, spesso vincitore, in una gara perfettamente sovrapponibile a quella della montagna reggiana, anche se a Locorotondo era fatta con uova fresche, e quindi non colorate.

Nell’approssimarsi del momento in cui ho preso a scrivere qualcosa su questa tradizione ormai scomparsa poiché – a parte ciò che derivava le vaghe notizie che mi venivano dai ricordi d’infanzia di mio padre, nato nel 1906, e perciò risalenti ad un periodo ormai lontanissimo – non ho trovato alcun riferimento recente al rito di ‘Tuzzè all’uòve’ in Valle d’Itria, ho cercato di approfondire muovendomi in due direzioni.

Per prima cosa ho fatto ricerche in rete e, come mi aspettavo, ho raccolto un sacco di testimonianze che ci permettono di affermare che questo ‘gioco’, legato alla ritualità popolare della Pasqua, era vivo fino a poco tempo fa, o è ancora vivo sia in molte parti della Puglia (e soprattutto nel foggiano, dove veniva chiamato ‘Tuzza l’ove’[8]); sia in Sicilia, ed in particolare a Trapani,truzzare, in una vecchia stampa trapanese dove, proprio come da noi, il gioco si chiama “A truzzari” – cioè ‘a bussare’: ‘e consiste – notare il presente! – nel fatto che un giocatore tiene nel pugno l’uovo, e l’altro cerca di romperlo battendo, ‘di punta o di culu’, col suo uovo. Il giocatore il cui uovo dovesse rompersi perde, e l’uovo diviene di proprietà dell’altro[9]; sia nel resto d’Italia (ad esempio a Urbania, nelle Marche, dove il gioco viene scandito secondo un preciso rituale, e viene chiamato ‘Punta e cul’[10]).

Nel resto d’Europa è ovviamente presente in Grecia, dove prende il nome di “Tsougrisma” [(τσούγκρισμα), che significa “tintinnare insieme” o “scontrarsi”]; “e può avvenire il sabato sera o la domenica di Pasqua, a seconda delle tradizioni di ogni famiglia. Si tratta di un gioco divertente per bambini e adulti e simboleggia la risurrezione del Signore. Le regole sono semplici. Ognuno sceglie un uovo e lo spezza sopra all’uovo di un’altra persona. Quello che finisce con un uovo rotto è il perdente. Il gioco continua fino a quando c’è un solo vincitore, che si dice abbia fortuna per tutto l’anno[11].

Infine, Proveniente dalla Grecia, ma praticato anche in altri Paesi di religione ortodossa quali, per esempio, la Bulgaria e la Russia, la battaglia con le uova è una sorta di lotta a colpi di uova sode. Ciascun partecipante sarà dotato di un uovo colorato che dovrà sbattere contro quello del vicino (i concorrenti sono seduti in cerchio l’uno di fianco all’altro). Via via che i gusci si romperanno, i partecipanti verranno eliminati. Vincerà chi, per ultimo, rimarrà con l’uovo intatto, variopinto e perfetto come all’inizio della battaglia.

Mentre nei paesi anglosassoni (ed ora anche negli USA, come testimoniato dal famoso film per bambini: ) prevale il gioco di “Caccia alle uova”, che è una specie di caccia al tesoro in piena regola. In cui il Coniglietto di Pasqua – l’equivalente pasquale di Babbo Natale – nasconde la sera precedente innumerevoli uova colorate o al cioccolato in varie parti della casa. La mattina successiva i bambini, armati di paniere, si metteranno alla caccia. Vince, ovviamente, chi ne raccoglie di più[12].

A parte queste notizie, ho cercato di capire se, oltre ai ricordi d’infanzia di mio padre, ci fosse qualche altra testimonianza che potesse avvalorare la presenza del gioco di ‘Tuzzè a l’uòve’ (letteralmente ‘bussare alle uova’) a Locorotondo, almeno fino ai tempo della Prima guerra Mondiale (mio padre era del 1906). E quale testimonianza più significativa di quella del mio amico d’infanzia Salvatore Guarnieri (Totònne della Serigrafia), che come sanno i più attempati fra i locorotondesi viene da una famiglia che illo tempore aveva trovato nel commercio delle uova su Bari un importante mezzo di sostentamento.

Totònne, in base ai ricordi che anche nel suo caso provengono dal versante paterno – Antonino Guarnieri, suo padre, era coevo del mio! –  innanzitutto mi ha confermato la veridicità della presenza di questo rito pasquale a Locorotondo almeno fino all’infanzia dei nostri genitori, anche anche se nessuno di noi due è riuscito a ricordare se ‘Tuzzè a l’uòve’  a Locorotondo avveniva nel giorno del Sabato Santo o a Pasqua.

In secondo luogo Totònne si è ricordato un altro fatto importante, e cioè che nel momento in cui avveniva la sfida fra i due ragazzi ci si accordava se ‘bussare di punta o di culo’ (Tuzzè de ponte o de cule).

Infine cosa per me importantissima – che ha confermato l’essenza, direi, del ricordo paterno e che ci permette di comprendere lo spirito di questa usanza infantile – è il fatto che sia per mio padre che per il padre di Totònne accadeva ciò che poi ho ritrovato in un passaggio del racconto dell’ignoto testimone di Trapani. Si dice nel ‘post’ dal quale ho tratto la testimonianza trapanese:

Ovviamente si possono organizzare dei tornei con più giocatori ed esistono dei trucchi per rendere il guscio più resistente, ma sono segreti, e  quindi non li divulghiamo. Però un indizio ai lettori lo possiamo dare: allo scopo si usano oggetti e materiali facilmente reperibili sia oggi che in passato[13].

Ebbene sia nel ricordo che mi viene da mio padre, sia in quello che viene dal padre di Totònne un particolare rilievo assumeva – per dirla con l’ignoto trapanese –  la presenza di trucchi basati sull’uso di ‘oggetti e materiali facilmente reperibili’: dove però la furbizia del bambino che riusciva a usarli non era un motivo di vanagloria personale, ma perché in questo modo diventava possibile “purtè a màmme” per ottenere il suo plauso, molte uova rotte che immediatamente erano da lei usate per il pranzo pasquale.

Un’ultima nota sui vari significati simbolici delle uova: per tutti i popoli esse rappresentano da sempre l’emblema della rinascita primaverile; per i cristiani la Resurrezione di Cristo,  ed in particolar modo il suo fuoriuscire dal quel guscio di pietra che è la tomba all’interno della quale era stato tumulato il suo corpo.


 

[1] e precisamente qui: https://gofasano.it/notizie/cronaca/15396-u-sabbate-sante-tutti-in-strada-a-cantare-alluovo.html  (ho lasciato volutamente intatte le modalità di trascrizione del fasanese, così come appaiono nel sito in cui le ho trovate)

[2] – da questo post di Teresa Acquaviva apparso su ‘Passaturi’: http://www.passaturi.it/tradizioni-territorio/il-canto-alle-uova-canto-di-questua-del-sabato-santo-valle-ditria/

[3] – qui il post di Gigi Rizzo: https://www.facebook.com/gigi.damonopoli/posts/10217875409144185

[4] – Molteplici sono le versioni che ho trovato in rete della canzone “Canté j’euv” nelle Langhe. Tutte però sembprano aver perso per strada quella che in Puglia è la prima parte del canto: https://lacucinadicarletto.wordpress.com/2015/04/03/la-questua-delle-uova-il-cantejeuv/#more-316

[5] Qui una delle versioni del canto di “Santu Lazzaru”, tipico della Grecìa Salentina: https://www.salentoviaggi.it/tradizioni-salento/santu-lazzaru-testo-e-traduzione-di-una-pizzica-salentina.htm

[6] – Qui un video della ‘Kalanda di Lazzaro’ a Corfù: https://youtu.be/J21VaPjTEjY

[7] Il termine dialettale reggiano “Scusìn” deriva dal latino concha, cioè conchiglia, da cui cocceus, o concheus, coccia: cioè guscio (nel nostro caso dell’uovo). Per cui ‘Scusìn” significa “rompere il guscio”.

[8] e “si svolgeva al mercato di via Arpi o, ancor prima, verso gli anni ’50, di fronte alla Cattedrale, tra l’ingresso della Scuola Pascoli e Piazza del lago, dove una volta si riunivano i venditori di uova fresche (da: https://www.foggiacittaaperta.it/blog/read/-tuzza-love—lantico-gioco-dei-foggiani-per-procurarsi-le-uova-per-pasqua). ‘Il gioco’ – afferma  Pino Donatacci, autore del post – ‘consisteva nel tenere un uovo con la punta rivolta verso l’alto, mentre un concorrente doveva cercare di romperlo colpendolo lievemente dall’alto. Perdeva il giocatore che vedeva rompersi l’uovo in mano’.

[9] da:   https://rumpiteste.wordpress.com/category/giochi-trapanesi/

[10]   ‘Le uova vengono sistemate a terra con un disegno a forma di “S”, in numero doppio rispetto ai partecipanti (2 per ciascuno per 2 giri). Segue la “conta” per stabilire chi inizia il gioco: il fortunato sceglie il primo uovo a destra o a sinistra della fila, valutandone attentamente la consistenza (per battere si usa la punta dell’uovo). Gli altri concorrenti debbono poi, obbligatoriamente, prendere il loro uovo seguendo il lato della fila del primo uovo scelto.  Inizia così la gara, girando in senso antiorario: vince chi, nel confronto, riesce a mantenere il suo uovo intatto battendolo contro quello del vicino. Il giocatore continua così finché il suo uovo resiste, intascando tutti quelli che riesce a rompere: il gioco viene poi proseguito dal successivo concorrente e così via per i 2 giri. Alla fine, alcuni concorrenti rifanno il gioco battendo la parte dietro e intatta dell’uovo, appunto il “cul” ‘. Da: http://www.urbania-casteldurante.it/it/il-gioco-del-punta-e-cul.html

[11] Da: https://ita.worldtourismgroup.com/greek-easter-traditions-you-should-know-42761

[12] Le notizie riguardati Russia, Bulgaria e paesi anglosassoni le ho raccolte qui: https://www.bambinopoli.it/feste/Giochi_pasquali_/1030/

[13] Vedi più su la nota N. 9

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2 risposte

  1. 18 Marzo 2022

    […] cantè all’uòve”, tipica di tutti i comuni della Valle e viva ancora adesso nella zona di Fasano, quando gruppi di ragazzi bussano a case e masserie suonando e cantando per ricevere in cambio uova […]

  2. 23 Aprile 2022

    […] de toutes les communes de la vallée, et encore vivante aujourd’hui dans la région de Fasano area. On y voit des groupes de jeunes qui tapent aux portes des  maisons et des fermes, gratifiant […]