L’autonomia differenziata fa male anche al Nord

di STEFANO FASSINA

 

da L’avvenire, del 17.2.24, p. 10

“Più autonomi o più soli?” è stato l’efficace titolo di apertura di Avvenire il 24 gennaio dopo il ‘si’ in prima lettura al Senato della cosiddetta “Autonomia differenziata” (AD), Sebbene la discussione si sia concentrata sugli effetti negativi per Sud, sarebbero “più soli” e quindi più deboli anche i “padani” Vediamo perché.

Primo. Perché il nostro debito pubblico, arrivato al 140% del PIL, sarebbe più rischioso, dato che a sua garanzia i sono i tributi erariali e le compartecipazioni regionali a IRPEF, IRE, etc. che sottrarrebbero un ammontare sempre più ampio di entrate dalla disponibilità del Tesoro. I tassi i interesse sui nostri Titoli di Stato si innalzerebbero, e l’innalzamento si ripercuoterebbe sulle condizioni finanziarie delle nostre banche ovunque: quindi anche su imprese e famiglie venete lombarde e emiliano-romagnole.

Secondo. Perché, con l’Autonomia differenziata” diventerebbero competenza esclusiva regionale materie decisive per l’attività produttiva per i consumi. Ad esempio: tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; commercio con l’estero; tutela sicurezza sul lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; alimentazione; grandi reti nazionali di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, asporto e distruzione nazionale di energia; previdenza complementare d integrativa, oltre alle intere competenze sulla scuola. In sostanza, si moltiplicherebbero per 20 le norme da conoscere ed ottemperare per un’impresa presente in più Regioni o con vendite dei suol prodotti n tutta Italia. Un incubo, una escalation di costi amministrativi ed economici. Uno scenario Impossibile per i più ‘piccoli’.

Terzo. Perché negli investimenti per le infrastrutture e la ricerca, anche le dotazioni delle Regioni più forti rappresenterebbero una frazione delle risorse mobilitate dagli Stati nazionali comparabili a noi. Per la promozione delle imprese italiane all’estero avremmo un puzzle ancor più imbarazzante dell’attuale con una miriade di più o meno piccole ed rilevanti presenze Istituzionali.

Quarto. Perché il passaggio alle Regioni del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario per gli enti territoriali loro interno lascerebbe i Comuni le relative Aree metropolitane e Province, anche per le funzioni fondamentali trasferite, alla totale discrezionalità del presidente della Regione. Insomma, la municipalità, carattere identitario della storia istituzionale, democratica e politica italiana, settentrionale in particolare, verrebbe umiliata nella totale subalternità all’esecutivo regionale.

Infine, ma non ultimo, c’è il nodo politico. Quale peso politico può avere intorno ai tavoli i Bruxelles, del G7, del G20, nelle relazioni internazionali bilaterali, un presidente del Consiglio di una “repubblica Arlecchino”, ancora più diseguale, quindi più anemica in termini di crescita potenziale, dove le poche leve di politica economica rimaste a scala nazionale sono controllate dai presidenti delle Regioni? Attenzione: le grandi opzioni di politica economica e le regolazioni dei mercati, decisive peri interesse la competitività delle nostre imprese, si decidono intorno a quei tavoli, non a Venezia, a Milano o a Bologna, In un quadro di autonomia tale, un premier come avrebbe potuto impegnarsi pei Pnrr, considerato che non avrebbe più avuto alcuna competenza legislativa sulla stragrande maggioranza delle materie oggetto dei finanziamenti (dall’ambiente alla ricerca scientifica ed ecologica;  dalle grandi reti nazionali di trasporto e navigazione alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia)? Colpisce silenzio delle associazioni di rappresentanza delle imprese. Attenzione: le politiche pubbliche nazionali tornano di primaria rilevanza per la competitività. Nella Ue, non si aprono spazi. Anzi, la direzione di marcia è piuttosto in senso contrario, come dimostra l’allentamento della disciplina sugli aiuti i Stato per consentire di finanziare programmi nazionali e, simmetricamente; la diffusa e radicata indisponibilità degli Stati membri ad un significativo incremento del bilancio comune.

In conclusione: l’Autonomia differenziata è un pessimo affare anche per “i ricchi” padani. Ne parleremo sabato 24 febbraio alla Camera del Lavoro di Milano in un incontro promosso dal Tavolo “No Autonomia differenziata”.

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