Fiabe in carrozza. Prefazione

E’ appena uscito un libro diell’amico Filippo Carrozzo. Il suo titolo è: FIABE IN CARROZZA, Giacovelli Editore Quella che segue è la Prefazione a questo bellissimo libro di fiabe:

Prefazione

Filippo Carrozzo e le fiabe

di Leonardo (Dino) Angelini

 

Condivido molte cose con Filippo Carrozzo, e soprattutto l’amore per la nostra piccola Itaca, Locorotondo, quello per il narrare orale, ed in particolare quello per le fiabe. Non solo per quelle murgiane che il lettore ritroverà in questo testo, ma per tutte le fiabe: comprese quelle che non abbiamo ancora ascoltato, e che sono lì, da qualche parte; magari infrattate in qualche percorso carsico; pronte a riemergere non appena si ripresentino un dolce aedo disposto a narrarcele, ed un pubblico, una ‘udienza attuale’ -direbbe il nostro maestro Cirese– disposto a lasciarsi affascinare ascoltandole.

A questo amore Filippo ed io ci siamo arrivati per vie diverse, ma confluenti.

-Io perché sono uno psicologo dell’età evolutiva che non può non interessarsi alle varie forme del narrare orale che da sempre affascinano i bambini. Diceva il grande pedopsichiatra Ajuriaguerra che è impossibile comprendere i bambini se non si ha confidenza con i linguaggi e con le forme di espressività che sono loro proprie: e parlava non solo delle fiabe, ma anche dei fumetti, dei burattini, etc.-

– Filippo perché da una parte nella composizione del suo curricolo di attore, doppiatore, e podcaster fondamentali sono stati sempre lavori incentrati sulle fiabe, sui burattini, sulle maschere delle commedia italiana. Dall’altra perché ha dato letteralmente voce al narrare orale ‘di ogni tempo e paese’ dovunque ci sia stata in questi anni la possibilità di raccogliere un’udienza disposta ad ascoltarlo.

Lo ha fatto in tutti i modi: dal racconto a viva voce per strada, alle esibizioni in teatro, o -d’estate- sulle aie secolari ove si batteva il grano; aiutandosi attraverso l’arte della modulazione della propria voce, della mimica, della gestualità e della prossemica apprese nei laboratori in cui si è formato; ha usato l’italiano, ma anche il dialetto (“Il volgar’eloquio: amalo!”, diceva Pasolini): usandolo di fronte e chi poteva comprenderne i lemmi, ma anche fuori contesto, in modo che diventasse una specie di caldo grammelot capace di inchiodare nell’ascolto anche l’uditorio più estraneo. E lo ha fatto affidandosi solo alla propria voce (si badi che Filippo è un grande doppiatore!) in vari podcast che il lettore può ritrovare in rete, e per i quali è stato più volte premiato come fra i più bravi, se non il più bravo a livello nazionale.

Ma il vero trait d’union fra me e Filippo sono state proprio le fiabe locorotondesi che ora il lettore ha sotto gli occhi: il sottoscritto le ha raccolte nell’ormai lontano biennio 1982\83 e le ha messe per iscritto in un testo (Angelini) che da poco tempo è stato riedito. Filippo le ha raccontate un po’ dappertutto in italiano o in gergo, spesso usando il dialetto alla Dario Fò, come dicevamo prima. E sfruttando le nuove forme espressive offerte dalla rete con un uso sempre sapiente e professionale della propria voce e del proprio corpo. Un trait d’union che parte, ma va ben oltre le nostre comuni origini murgiane, poiché si estende fino a comprendere il comune interesse per i molteplici significati che assume il narrare orale, ed in particolare la fiaba.

Perché ci sia una narrazione orale, afferma Aurora Milillo, ci devono essere un buon raccontatore e un’udienza che sia disposta ad ascoltarlo. Il buon raccontatore prima di incontrare la propria udienza attuale deve aver accumulato dentro di sé un insieme di ‘canovacci’, cioè non di testi rigidamente definiti, ma di trame. E per farlo a sua volta deve aver ascoltato fin da piccolo altri raccontatori che sono riusciti ad avvincerlo.

Nel caso della fiaba queste trame hanno un potere ‘terapeutico’ volto al sostegno della crescita psicologica. In proposito uno dei più grandi interpetri della fiaba, Bruno Bettelheim, ricorda come in certe zone dell’India, al tempo in cui si interessava delle fiabe, si usasse prescrivere l’ascolto di determinate specifiche fiabe a tutti gli adulti che fossero in uno stato di sofferenza psicologica.

Si, avete capito bene, agli adulti! Non c’è da sorprendersi! anche da noi fino a qualche tempo fa le fiabe erano raccontate ad un pubblico che comprendeva sia i bambini che gli adulti.

Altro elemento importantissimo, e direi conseguente: le fiabe ci sono in tutto il mondo, e ci sono state sempre. Ogni cultura cioè ha sentito il bisogno di dotarsi di questo strumento per la cura delle proprie anime. Lo ha fatto attingendo da una parte al proprio universo mitologico, dall’altra al mondo dei sogni. E, siccome il mondo cambia e le culture si trasformano in base alle nuove esigenze di lavoro e di vita degli individui e dei gruppi sociali che le compongono, ne discende che il corpo delle fiabe sia in perenne movimento. Si può dire anzi che ogni raccontatore nel momento in cui si trovi di fronte ad una nuova udienza deve compiere un ‘lavoro’ di rielaborazione e di adattamento dei propri canovacci a ciò che intuitivamente sente essere l’esigenza attuale di quella udienza.

Ciò sembra un lavoro titanico, ma a pensarci bene è ciò che ogni genitore ed ogni nonno fa ogni volta che si siede sulla sponda del letto del proprio figlio e comincia a narrargli una storia.

Da questo punto di vista la differenza fra me e Filippo è che io ho mi sono limitato a raccogliere su nastro fiabe e racconti di Locorotondo dalle mie raccontatrici e dai miei raccontatori, per poi trascriverle: un lavoro di tipo etnografico volto a lasciar testimonianza di qualcosa che si andava ‘ingrottando’; mentre Filippo ha ridato loro vita, lustrandole, ritrovando e ripercorrendo creativamente le vecchie modalità espressive, ma anche inventandone di nuove, e arrivando perfino ad adattare sapientemente i vecchi canovacci alle nuove e ormai diffuse modalità di comunicazione tipiche dei social.

Filippo insomma, ed io con lui,  vi esortiamo a non demordere e ad osare diventare narratori: i canovacci sono lì. Li possiamo adattare ogni volta che avremo modo di farlo. Li possiamo incrociare, accorciare, o espandere così come intuitivamente ci pare che i nostri figli o nipoti desiderino.

Non saremo bravi come Filippo, ma sicuramente faremo un’opera che serve a loro .. e a noi stessi.

Bibliografia:

 

– Cirese A. M., “Qualcosa è fiaba, ma cosa? Spezzoni di un discorso”, in: AA.VV. “Tutto è fiaba”, Emme Edizioni, Milano, 1980, pp.5\19

– Ajuriaguerra J., Psicopatologia del bambino, Masson, Milano

– Angelini L., “Raccontami una storia. Fiabe e Racconti di Locorotondo. Funzioni e significati del narrare orale in situazione”, Pagina, Bari, 2018

– Milillo A., “La vita e il suo racconto”, Casa del Libro, Roma, 1983

– Bettelheim B., Il mondo incantato. Importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Feltrinelli. Milano, 1977

 

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