La fiducia sul Jobs Act è un obbrobrio costituzionale

di Alfonso Gianni

(8.10.14, ore 15,50, inviato poco fa all’Huffington Post)

“Razionalizzazione e semplificazione delle procedure, anche mediante abrogazione di norme, connesse con la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro”. Così sta scritto nel maxiemendamento su cui il governo sta chiedendo la fiducia al Senato. Un clamoroso imbroglio. Fonti ministeriali fanno sapere che nella locuzione “abrogazione di norme” si intende implicitamente includere anche l’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, ma si evita di dirlo apertamente. Quindi si pone la fiducia su un testo che in realtà non c’è. Infatti siamo nel campo della legge delega, quale è quella del iobs act, che deve autorizzare, entro certi limiti e tempi, il governo a procedere a norme precise assunte tramite decreti, che si chiamano appunto decreti delegati. Siamo di fronte ad un primo paradosso. Ponendo la fiducia il governo se la attribuisce due volte, sul testo che lo delega e sui futuri decreti delegati. Infatti l’articolo 77 della Costituzione, che regola la questione dei decreti-legge, ovvero stabilisce che essi possono essere emanati solo “in casi straordinari di necessità e d’urgenza” – mentre i governi degli ultimi decenni ne hanno abusato a iosa – comincia con il paragrafo “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria”. Ma se la delegazione da parte delle Camere avviene non liberamente, dopo un’approfondita discussione, ma sulla base della spada di Damocle e, diciamolo pure, del ricatto di un voto di fiducia al governo, è chiaro che siamo di fronte ad un corto circuito del procedimento legislativo, Anzi a un obbrobrio, uno schiaffo al senso logico, una lesione gravissima della democrazia parlamentare.

Ma c’è di più. La materia della legge delega è regolata non solo dalla normativa interna alle camere, ma dalla Costituzione. In essa, all’articolo 76 si legge: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti”. Nel testo “elaborato “ dal governo non solo non ci sono definizioni precise di oggetti, principi e criteri, ma addirittura questi vengono oscurati dalla voluta genericità della espressione, come si nota nella frase sopra riportata. Quindi il maxiemendamento del Governo non dovrebbe neppure essere ammesso per palese violazione della norma costituzionale contenuta nell’articolo 76 sopra citato, oltre che del primo comma dell’articolo 77.

Mentre scrivo la seduta del Senato è stata sospesa. Le notizie di agenzia riferiscono che la colpa viene attribuita alle “intemperanze” delle opposizioni. Di fronte alla violazione dei principi costituzionali più elementari bisogna opporsi con tutte le proprie forze. La Presidenza del Senato dovrebbe tutelare la Costituzione e lo svolgimento del dibattito parlamentare, non le fregole del governo di presentare al vertice milanese della Ue lo scalpo dell’articolo 18 e quindi di tutto il diritto del lavoro italiano. Tanto più che persino un documento dell’Ocse, di cui ho parlato in questo blog la volta precedente, chiede all’Italia, per favorire gli investimenti, di tutto tranne che la liberalizzazione dei licenziamenti. Ciò che preoccupa gli investitori stranieri è la lentezza della burocrazia, la presenza diffusa sul territorio della criminalità, la scarsa efficienza complessiva del nostro sistema, non certo il permanere di una giusta causa nel motivare i licenziamenti individuali, essendo peraltro quelli collettivi sempre possibili in caso di crisi.

Invece ci è toccato sentire oggi al Senato il Ministro del Lavoro Poletti – a mia memoria il peggiore ministro del lavoro della nostra Repubblica – dire che bisogna togliere il filo spinato di cui sarebbero circondate le imprese e che sarebbe costituito dai vincoli sul licenziamento e da quel poco che resta della preservazione dei diritti dei lavoratori. A parte il cattivo gusto dell’immagine usata – per usare un eufemismo – chi rischia di restare strozzato dai cordoni della smania nichilista del neoliberismo sono la democrazia e la Costituzione del nostro paese. Quelle che peraltro non sono mai pienamente entrate nel mondo e nei luoghi del lavoro.

Intervenendo a Milano il segretario della Fiom ha oggi detto che se necessario i metalmeccanici sono pronti ad occupare le fabbriche. Ha ragione. L’opposizione parlamentare esistente non è sufficiente per fermare il processo di desertificazione delle regole democratiche e del diritto del lavoro che il governo Renzi sta portando avanti. E’ necessaria una vasta mobilitazione popolare, come quella già prevista per il 25 ottobre dalla Cgil, preceduta da scioperi e manifestazioni anche dei sindacati di base. Vediamo se il consenso di cui Renzi si vanta esiste per davvero.

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