Ligabue. Fruizione coatta?

di Dino Angelini

Premessa: non ho nulla contro Ligabue e la sua musica; non sono un suo fan, ma non mi dispiace ascoltarlo, quando mi capita.

Ieri sera però, mentre stavo fruendo di un altro spettacolo, la musica che proveniva dall’altro capo della città (vivo a Canalina) mi ha infastidito non poco. All’inizio non riuscivo a capire di che cosa si trattasse: si sentiva, forte, la batteria e il canto giungeva cupo ai miei orecchi, mentre il pavimento della mia casa a volte sembrava scosso da un tremito, probabilmente generato dalle note più basse. Ho dato un’occhiata in rete e subito ho capito che si trattava delle prove del concertone di Ligabue.

Subito è partita una gragnola d’interventi: i più – fra i quali i miei – contro il fracasso imposto alla cittadinanza tutta; alcuni a favore, con la giustificazione di sempre: non vi lamentate poi se a Reggio non succede mai nulla, se la città è morta, etc. –

Non è mia intenzione qui ribattere a questi triti argomenti che accusano di provincialismo e di non voler bene alla nostra città tutti coloro che risultano non in linea con questi eventi che “devono” a priori essere accolti da tutti. Basti in proposito la tagliente e per noi attualissima definizione di Soldati: “il provincialismo consiste quasi sempre nel timore del provincialismo; e in una spasmodica cura di evitarlo”.

Ciò che mi preme rimarcare qui è il dato della fruizione. Non solo di un brano musicale, o di una qualsiasi opera d’arte, ma anche della più semplice e venale comunicazione.

Quando Ligabue scrive una canzone ha in mente un suo pubblico “implicito”; lo stesso accadeva quando Eschilo scriveva le sue tragedie, e lo stesso accade ora a me nel momento in cui mi accingo a scrivere queste righe! Il pubblico reale, il fruitore reale poi non sempre coincide con quel pubblico al quale l’artista, il giornalista sta pensando nel momento in cui crea o produce un testo, o un brano, o un quadro, etc. –

Ai grandi artisti anzi accade di estendere la fruizione del proprio prodotto anche a chi viene dopo di loro, esponendosi ad altre interpretazioni ad altre fruizioni che vanno ben al di là di ciò che l’artista ha voluto comunicare al fruitore implicito per il quale ha creato la propria opera. I personaggi creati da Omero continuano a dirci qualcosa e a darci delle emozioni a distanza di tremila anni e passa.

Ma il fatto è che neanche a scuola potevano fino in fondo imporci di leggere e godere della lettura di Omero, di Dante o di Manzoni, perché uno era poi libero di ricorrere surrettiziamente ad un bignami, o di prendersi un brutto voto: e sappiamo quanta parte ha avuto poi quella lettura coatta in molti di noi per renderci indigeste quelle grandi opere.

Nel caso del concerto di Ligabue, e persino delle prove del concerto locandina-concerto-ligabue-campovolo3di Ligabue!, la moltiplicazione dei decibel fino a raggiungere chi non vuole fruirne pone questi cittadini nella condizione di fruitori coatti non – si badi bene! – di Ligabue, ma di una modalità di fruizione delle sue creazioni artistiche, che lui stesso dispone a fianco ad altre modalità di fruizione molto meno invasive, quali i dischi, le apparizioni in TV, i passaggi sulla rete, etc. –

Sappiamo d’altro canto che molti amministratori locali – aizzati dagli anti-provincialisti più spasmodici e da ben più venali approfittatori – vogliono trasformare il Campovolo in una arena votata, praticamente full time, a questo tipo di eventi. Viene allora dire: Dio ce ne scampi e liberi!! Perché in quel caso la fruizione coatta dei ogni evento musicale renderebbe la città un vero e proprio “casino” (mi si passi il termine).

Ad un concerto di Ligabue si può sopravvivere. Ad una teoria infinita di concerti, concepita per sprovincializzare la città, no. Gli antiprovinciali s’inventino qualcosa di più discreto.

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