Che aspettiamo a uscire dall’euro?

240_F_116611902_3zqlNrcCQUK2BfrofBIUPD8qFbytiWkbdi Dino Angelini

 

La crisi economica mondiale ha messo a nudo la vera natura dell’euro: una idrovora assemblata in modo tale da succhiare, e risucchiare ad libitum (vedi Grecia), il denaro agli strati più poveri ed alle classi medie per arricchire gli straricchi speculatori della finanza internazionale.

Le banche costituiscono il motore principale di questa vorace idrovora specialmente allorché all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso la loro suddivisione fra banche d’affari e banche commerciali – istituita dopo la grande crisi del ’29 a tutela del risparmio – tornò a venir meno. Fu il democratico Clinton il patrocinatore dell’affidamento al potere finanziario sia dei risparmi dei cittadini, sia delle politiche d’investimento che sono alla base dello sviluppo economico reale: e fu come porre Dracula a protezione dei depositi di plasma sanguigno.

A ciò si aggiunga per quanto riguarda l’Italia, che il divorzio fra Tesoro e Banca Centrale ad opera del duo Andreatta – Ciampi, rappresentò, già prima degli anni ’90, la nascita – potremmo dire – di un’idrovora primigenia ‘nostrana’ capace di produrre l’indebitamento dello Stato e in ultima istanza di noi tutti. O meglio: dei nostri genitori e dei nostri nonni.

È in base a queste premesse che in tutto in mondo occidentale vengono messe in angolo in quegli anni le politiche keynesiane e l’alternativa diventa quella fra un neoliberismo spinto portato avanti dalle destre, ed uno soft portato avanti dalle ‘sinistre’ (il blairismo). È sempre in base a queste premesse che nasce l’euro. E infine è in base alla nostra doppia idrovora che l’Italia passa dalla prima alla seconda repubblica sotto il segno del neoliberismo hard di Berlusconi o di quello soft di Prodi, e poi s’imbarca nell’euro a marca tedesca.

Ciò che fino alla crisi del 2007\2009 permise al blairismo e, da noi, al prodismo di celare ciò che covava sotto le ceneri del neoliberismo fu la presenza di una crescita drogata fra le cui pieghe passò la messa in mora di tutto ciò che era stato costruito nel dopoguerra. Per rimanere all’Italia (ma praticamente uno discorso simile può essere fatto per tutto l’Occidente) non dimentichiamo che è stato il centrosinistra di Prodi e dei suoi epigoni l’artefice delle principali leggi che hanno portato alla precarizzazione del lavoro, alle privatizzazioni (compresa quella del welfare), alle politiche sempre più discrezionali e clientelari degli appalti, etc. etc. – Un centrosinistra che vede oggi in Renzi non l’artefice di una svolta, ma solo l’emulo più sgangherato e avventurista di questo neoliberismo in salsa italiana.

Però ora che l’idrovora appare sempre più nettamente per quello che è, praticamente in tutta Europa ci si sta chiedendo come venir fuori da questo pantano. Le soluzioni all’orizzonte sono essenzialmente tre: rimanere all’interno dell’area dell’euro; uscirne chiudendosi su posizioni nazionaliste e securitarie; oppure uscire confezionando un paracadute che conduca ad un nuovo equilibrio basato sul ripristino della democrazia e delle tutele, a partire dal lavoro.

In ogni caso è sempre più chiaro che oggi stiamo camminando nel vuoto, e che queste tre strade sono accomunate dal fatto che -prevalga l’una, l’altra o l’altra ancora- già nel breve periodo (le elezioni francesi sono alle porte!) ognuna di esse ci condurrà ad un punto di equilibrio che da un punto di vista economico sarà più basso di quello in cui ci attardiamo a vivere.

Una volta appurato che questo è ‘il’ problema nasce una domanda: stare o non stare nell’euro?

Se la risposta a questa domanda è ‘si’ ciò che ne discende a mio avviso è un rimanere invischiati all’interno dell’orbita neoliberista, che in Europa si coniuga con il combinato disposto ‘Europa delle banche a trazione tedesca + estensione della zona euro ad Est‘ che – ormai è chiaro a tutti – si basa: a. sulla definitiva messa in mora della possibilità di trasformare l’Europa in un’area democratica in cui valgano per tutti gli stessi diritti, gli stessi doveri e le stesse tutele; b. su una geopolitica dell’azzardo.

Se invece la risposta è ‘no’ vanno prese in considerazione le due opzioni che rimangono sul tappeto: quella di destra e quella di sinistra. Entrambe implicano l’approntamento del famoso piano B in base al quale, a quanto dicono ormai fior di economisti[1], si potrebbe approntare un impatto morbido con quel nuovo e più basso punto di equilibrio che s’intravede all’orizzonte. Anche se a mio avviso il problema non può ridursi solo ai sia pur importanti aspetti finanziari. Poiché l’uscita dall’euro – soprattutto dopo la vittoria di Trump – presenta enormi risvolti di carattere politico e geopolitico.

Infatti le politiche neoconservatrici e securitarie delle nuove destre non solo sono di ostacolo alla risoluzione del problema della democrazia a delle tutele, ma conducono anche all’inasprirsi dei conflitti, all’esplosione del terrorismo e all’ulteriore diffusione delle guerre a bassa intensità in tutta l’area del Mediterraneo.

Mentre un’uscita da sinistra dall’euro intanto può vedere per la seconda volta unirsi – sempre a partire dalla Costituzione, ma su basi politiche ben più ampie – quel fronte del No che comprende tutti i movimenti e i nuovi soggetti politici che vanno nascendo sia nel territorio che in Parlamento. Ed in secondo luogo può sul piano geopolitico costituire nel medio periodo un fronte unito – auspicabilmente insieme a Grecia, Spagna e Portogallo – per la nascita (che per noi italiani sarebbe un ripristino) di un’area di pace nel mare nostrum. Che, caduto il comunismo reale, può essere foriera di ulteriori e più ampie spinte alla pace.

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[1] vedi proprio in questi giorni il saggio di Grazzini “Tutti i conti dell’Italexit. Nessuna catastrofe se l’Italia esce dall’Euro”

 

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