Per la ridefinizione di un programma radicale della politica della città

 a cura del girotondo “44 Gatti”

 [Le pagine che seguono vogliono essere solo il punto di partenza per una discussione sulla politica locale a Reggio Emilia che speriamo giunga a sostanziose, più ampie, più profonde e più circostanziate riflessioni grazie al concorso di tutti voi che ci leggete.

Abbiamo pensato di proporle alla discussione di quel movimento dei movimenti che orami si sta espandendo in città e che vede nei no global,nel movimento ambientalista, nei girotondi e soprattutto nella CGIL i suoi capisaldi.

Il nostro invito è quello di cominciare a dibattere insieme i quattro testi che seguono, che vanno visti solo come un punto di partenza dal quale partire per giungere alla definizione di un forum sulla politica locale, aperto a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della città e che si schierano su posizioni anti-Berlusconi.

In questo modo, a nostro avviso, è possibile contribuire alla rifondazione della politica locale della sinistra a Reggio Emilia, unire le forze della sinistra ed andare alle elezioni in un’ottica di coalizione allargata.

Si tratta quindi non di un testo conchiuso, ma di un lavoro in progress, aperto ai contributi ed agli emendamenti che sicuramente nasceranno lungo il corso della nostra discussione.

E’ per questo che vi preghiamo di considerarlo come un documento riservato e di trattarlo come tale.]

 

Reggio Emilia:  Indicazioni per la ridefinizione di un programma radicale della politica della città, frutto di una pratica e di un pensiero differente, cresciuto nei movimenti che hanno riempito il vuoto lasciato dalla crisi della politica.

Premessa

Parliamo di Reggio Emilia ben sapendo che la nostra città è riuscita ad applicare un modello di sviluppo che ha rappresentato fino ad oggi la punta avanzata della politica del centro sinistra nella nazione. Tuttavia  pensiamo ad un progetto futuro che sia più garante dei nuovi bisogni dei cittadini ,in quanto la nostra analisi intravede uno svuotamento di quei valori che hanno da sempre costituito lo spartiacque fra una politica di centro sinistra e una politica di centro destra. Svuotamento che con forza sta avanzando a livello mondiale con lo smantellamento dello stato sociale e la trasformazione dei bisogni dei cittadini a merce e reddito.

Parliamo di Reggio in questo particolare momento della storia. Oggi una guerra preventiva è alle porte nonostante che da Porte Allegre a S. Pietro si siano levate milioni di voci per dire: no alla guerra, si alla pace. Tanto si è detto sul significato di ”guerra preventiva”, ma noi ci chiediamo: chi può arrogarsi il diritto di dichiarare guerra ad un ipotetico nemico, dicendo di volere distruggere il terrorismo? o ancora di spodestare un dittatore. Allora sarà veramente una guerra infinita, dopo l’Irak andremo in Corea del nord, in Sudan, in Tibet, in Arabia Saudita, in Libia, in Birmania e dove ancora altri regimi dispotici imperano. Siamo fermamente convinti che il terrorismo vada combattuto, ma non bombardando Baghdad. Per questo abbiamo forti timori che il vero obiettivo sia  mettere le mani sul petrolio e in eguale misura sul governo dell’intero pianeta.  Questa guerra ci ha messo di fronte all’esigenza di un cambiamento epocale della politica. Tutti siamo investiti di una grande responsabilità, “non c’è pace senza giustizia sociale, senza diritto di cittadinanza con pari dignità ad ogni uomo e ad ogni donna”. Vogliamo riaffermare con forza nella nostra città il significato di queste parole e calarle concretamente  nella pratica quotidiana. I pensieri e i gesti della politica, non hanno più confini, ci sono bisogni e problemi ai quali è urgente rispondere: diritti  e sfruttamento delle risorse non possono continuare ad essere gestite in modo unilaterale, a scopo di lucro per un falso progresso che ci ha portato al proliferare di ingiustizie fra i popoli e a conseguenze catastrofiche ambientali.

E’ nostro intento dare un contributo affinché Reggio possa tornare ad essere un “laboratorio” dove si possa riscrivere un nuovo modello di politica delle relazioni economiche e sociali.

1.Società solidale, partecipazione, 2. una politica che sia espressione anche del pensiero femminile nel rispetto della differenza; 3. e poi povertà, emarginazione, problemi di integrazione, e conseguentemente ridefinizione dello welfare reggiano, 4. ed infine problemi dell’ambiente sono argomenti che ci toccano da vicino.  E’ da questi problemi che vogliamo partire, è su questi argomenti che abbiamo cercato di mettere per iscritto le nostre riflessioni in quattro testi che proponiamo alla vostra attenzione.

1. Società solidale, impegno e partecipazione oggi

Per avviare una riflessione sulla politica locale non si può prescindere dai grandi temi della politica nazionale ed internazionale, e dai grandi ideali che da sempre distinguono la sinistra dalla destra.

Non si può non ripartire dal concetto di società solidale, della differenza,  e partecipata. E’ su questi tre concetti che si differenziano la destra e la sinistra in ogni luogo del mondo.

Di contro, soprattutto in questo ultimo decennio, le prospettive ideali dei partiti della sinistra storica italiana paiono basarsi sull’idea che l’unica strada percorribile e possibile sia quella di governare il mondo esistente, alienando da sé ogni residuo di utopia e di prospettiva di cambiamento radicale che invece i movimenti hanno riportato al centro dell’agire politico affermando che ‘un altro mondo è possibile’. Questi ultimi hanno riproposto e ricollocato al centro del pensiero politico la convinzione circa l’irriformabilità di parti importanti del sistema capitalistico quali le tendenze alla gestione monopolistica e liberista del mercato, di ogni segmento del mercato, dalle merci al lavoro-merce, e di conseguenza, ad esempio, della impossibilità di una gestione delle relazioni internazionali e nazionali basati su principi di collaborazione solidale e non competitiva, come d’altronde è oggi, dato che la base unica è quella del mercato.

E’ quindi necessario contrapporre all’idea dell’allargamento del mercato ad ogni costo, ricorrendo anche all’uso delle armi per imporlo, l’ipotesi di una mitigazione del sistema di produzione e mercantile tale da renderlo veramente compatibile con le due principali emergenze del momento che sono rappresentate dalla mancanza assoluta del rispetto dei diritti primari, di sussistenza e sociali, per l’80% della popolazione mondiale e dall’insostenibilità del nostro sviluppo economico sul piano ambientale.

Affermare che questo non è il migliore mondo possibile agire conseguentemente e compito della sinistra, il che potrebbe ridarle il ruolo di punta nel  campo dell’affermazione dei principi e dei valori che le sono sempre appartenuti e che i movimenti new global stanno ribadendo con forza.

Un’altra sinistra è possibile! Un’altra sinistra che sappia accogliere le differenze senza temerle, capace di agire in modo critico ed autocritico in una relazione dialettica con i movimenti senza pretendere che essi ne divengano parte organica. Una sinistra che sappia governare tale momento storico deve saper guardare a sé come entità aperta e capace di dare forma rappresentativa alle pulsioni che emergono dalle società; deve quindi liberarsi dalle rigidità organizzative che la hanno caratterizzata sino ad oggi.

Con la disorganicità bisogna fare i conti!

Occorre prendere atto che stanno andando in crisi le stesse idee tradizionali di partito e di rappresentanza, così come esse si sono inverate nella seconda metà del secolo trascorso, poiché le ragioni stesse della loro nascita e del loro agire sono radicalmente modificate dai fatti che sono accaduti dal crollo del muro di Berlino sino all’uso delle armi ogni volta che il mercato lo richiede.

Il movimento dei movimenti, nato nel vuoto della politica politicante, ha riportato alla luce il bisogno di politica, di partecipazione e non di adesione ad un partito, rispondendo alla incapacità dei rappresentanti nazionali e locali di rappresentarli. Poco dopo nasce il movimento dei girotondi sempre per lo stesso motivo e con ragioni ‘altre’ rispetto al primo, ma con la medesima finalità. Riportare al centro della politica la partecipazione: “Mai più una delega in bianco”. (Moretti 14 settembre 2002 p.zza S. Giovanni).

II tentativo di alcuni partiti di governare i movimenti e di condizionarli è stato respinto con forza proprio dalla riproposizione dell’idea stessa di movimento, come luogo ‘altro’ rispetto alle vecchie forme organizzative alle quali mai si dovrà appoggiare e sostituire. Tale richiesta, che giunge a noi talvolta sotto forma di accusa, viene ciclicamente e cinicamente riproposta dai rappresentanti della vecchia politica a tutti i livelli.

E’ evidente che se mai un movimento dovesse venire meno alla sua caratteristica volontaristica, fatta spesso anche di partecipazione tematica e quindi saltuaria, esso si snaturerebbe divenendo ‘altro da sé’.

I movimenti discutono di temi, i partiti imparino ad ascoltare ed a proporre soluzioni possibili di governo coerenti con le istanze che nei movimenti nascono e con le proposte conseguenti. Ruoli e compiti distinti e differenti. Chiedere ad un movimento di appoggiare una maggioranza piuttosto che un’altra è un errore all’origine.

I movimenti di questi ultimi anni  nascono per proporre i grandi temi nazionali e globali all’attenzione dell’agenda politica, per ribadire valori di riferimento, strategie di contrasto a tendenze cui i partiti non si oppongono con la sufficiente forza.

Non è improbabile che tale forma della partecipazione sia sufficientemente difficile da digerire da parte di chi sino a ieri ha potuto dire “ci sono solo io ad oppormi al governo delle destre”, arrogandosi di fatto il diritto di fare e disfare come voleva. Fare i conti con gli elettori che si muovono con maggiore autonomia rispetto alla vecchia rappresentanza, seguendo flussi spuri, ma fortemente politicizzati e capaci di muovere masse imponenti di persone, significa fare i conti con la trasversalità di opzioni politiche che i partiti hanno espulso dal proprio patrimonio genetico per fare posto ad un’idea più mitigata del confronto politico. Il trasformismo politico di questi ultimi anni è esplicativo di tale dinamica.

Palesi sono stati gli eventi legati all’articolo 18, alla legge Cirami ed alla pace. I partiti su questi e altri temi si sono sempre mossi a rimorchio dei movimenti, spesso in modo conflittuale tra loro e con loro. E allora la prima cosa che occorre fare nel momento in cui si vuole dialogare con i movimenti è chiedersi quale coalizione sia possibile se non c’è condivisione su questi aspetti fondamentali dell’agire politico, in sede nazionale, così come in sede locale.

‘Programma’ significa individuare valori comuni ai quali fare riferimento ogni volta che si deve costruire un progetto di governo e dai quali partire per chiedere ai cittadini il consenso. I movimenti in questo anno e mezzo, da Genova in poi, hanno mostrato che temi ai quali la sinistra storica ha rinunciato sono divenuti motivo di mobilitazione trasversale nella società.

I girotondi sono riusciti a portare in piazza persone che avevano votato per il governo delle destre, stimolando i partiti del centrosinistra nell’azione di difesa intransigente dei diritti e della democrazia, hanno lottato per la libertà di parola e di informazione, hanno contribuito a innescare i rari momenti di attacco convinto alle prevaricazioni del governo Berlusconi.

La CGIL, con la difesa dell’Art. 18 ha lanciato un ponte contemporaneamente verso le giovani generazioni che sono attaccate dalla logica neoliberista nel diritto fondamentale a progettare un futuro degno di questo nome, e verso gli anziani che, in base alle stesse logiche, rimarrebbero senza previdenza e senza pensione.

La CGIL locale poi, con la sua politica di strenua difesa dei diritti degli immigrati, ha rappresentato in città uno dei pochi luoghi in cui è stato possibile innescare una politica di integrazione non basata sulla logica dell’accoglienza e dell’urgenza.

II movimento new global è addirittura stato capace di mondializzarsi sui grandi temi dell’economia e della giustizia sociale, e con il movimento per la pace, ad esso ampiamente collegato, va contrapponendo alle armi e alla prepotenza di Bush la forza della ragione e della pace.

I dirigenti del centrosinistra, per contro, hanno tentennato su tutto questo e sono stati capaci di non dire un parola su WTO, GATS. Se ne sono forse scordati? O forse sono così impegnati a contrastare Cofferati ed i movimenti da non ricordare che la responsabilità del fallimento delle politiche di governo del centrosinistra sono tutte interne alle logiche che stiamo analizzando? Ci siamo scordati che i new global, allora solo no global, sono stati pestati a sangue a Napoli con un’odiosa operazione di polizia di poco inferiore a quella di Genova quando il ministero dell’Interno era nelle mani del centrosinistra  e nessuno si è scandalizzato?

E’ per la prima volta dopo tantissimi anni che da parte di questi tre movimenti si afferma un’idea del mondo ‘altra’ da quella del presente, e che per essa grandi masse di giovani e meno giovani – anche qui la trasversalità è totale –  si siano rimessi in movimento come non si vedeva da anni.

Si sta passando da una politica dell’identità ad una della prossimità.

L’adesione avviene per vicinanza e differenza non per identità, così come avviene nei partiti, o almeno come è avvenuto nei partiti sino ad ora! Si riparte dalla relazione e non dall’identificazione!

L’affermazione non è “io ho i tuoi medesimi interessi” bensì “io mi occupo di te e dei tuoi interessi, così facendo mi occupo di me stesso/a”, facendo propria la vecchia provocazione di Pietro Ingrao che ai comunisti italiani diceva di imparare in questo dai cattolici impegnati nel sociale.

Sempre più spesso temi quali ambiente, diritti, partecipazione, lavoro, solidarietà, quasi tutti valori costituzionali, entrano in costante fibrillazione ogni volta che si intersecano. (vedi FIAT, allargamento del porto di Genova, legge sull’immigrazione, libro bianco, ecc.) a causa di una errata visione dello sviluppo e della evoluzione della società. Spesso, ad esempio, diritto al lavoro e cura dell’ambiente vengono visti come elementi contrapposti, come pure immigrazione e sicurezza, flessibilità del mercato del lavoro e concetto di massima occupazione, e così via.

Importantissimo è ribadire il ruolo centrale della formazione e della scuola diffusa – che oltre alla scuola tradizionale preveda anche interventi di strada nelle aree più disagiate ed a maggior abbandono, educazione permanente e degli adulti, obbligo/opportunità formative per gli immigrati stranieri ed i loro figli anche se maggiorenni – come difesa della democrazia e difesa dalla collocazione di fasce di popolazione, femminile e giovanile, nelle aree economicamente più deboli della società.

La sottovalutazione da parte della rappresentanza tradizionale di quanto accade nelle sedi sovra ed extra-nazionali, leggi WTO, è sorprendente: il trattato WTO prevede nell’applicazione degli accordi di liberalizzazione dei servizi, il Gats appunto, l’esautorazione degli enti locali da ogni forma di possibile regolamentazione che differisca dai criteri accettati dagli accordi GATS e dalle norme previste negli accordi stipulati con adesione al WTO dai governi nazionali.

La miopia di coloro che nei partiti che compongono la maggioranza, che esprime la giunta comunale, si manifesta nella sordità verso ogni forma di critica costruttiva e di proposta alternativa nei confronti delle azioni che la giunta comunale intendeva operare nei più differenti settori, in primo luogo quello ambientale e della viabilità.  Non è stato infrequente sentire amministratori locali assumere atteggiamenti arroganti verso tutti coloro che chiedevano di essere ascoltati, o perché direttamente coinvolti dalle scelte dell’amministrazione o perché a vario titolo non concordi con quell’azione. O con me o contro di me. Una blindatura alla partecipazione politica, vista come nemica, che manifesta una difficoltà enorme dei nostri politici e degli amministratori locali nonché un deficit di democrazia partecipativa delle strutture che governano la città. Vi è un’idea della politica come accordo tra partiti di giunta, programma elettorale e scelte varie di giunta, e mantenimento degli equilibri politici di rappresentanza di interessi. Risultato: partecipazione zero.

Laddove nasceva un movimento di cittadini, le mosse erano chiaramente dirette a influenzarne le scelte con pacifiche adesioni di esponenti dei partiti di maggioranza e laddove ciò non interessava con l’ostracismo ed il disinteresse. In questo modo, anziché lavorare per una amministrazione della città partecipata e discussa ove i partiti sanno incontrare, ascoltare e dialogare con i movimenti della città, si è costruita una città ove la politica dell’amministrazione ha quasi sempre risposto alle istanze dei cittadini con un “voi protestate pure tanto noi andiamo avanti perché abbiamo il compito di governare”.

Risultato: elezione dopo elezione si è eroso il patrimonio di consensi alla coalizione di maggioranza, senza per altro che l’opposizione abbia segnato punti importanti a proprio favore.

I problemi degli equilibri di giunta sono preoccupantemente divenuti sempre più forti. A tali difficoltà, messa da parte in questo ultimo decennio ogni parvenza di rappresentanza decentrata e di partecipazione, anche la più alienata e preconfezionata, la risposta è vieppiù legata ad una chiusura verso l’esterno, in un piegamento egocentrico ed autoreferenziale che non lascia spazio a null’altro.

In un simile contesto, il tentativo è quello di fare in modo che nessuno critichi o meglio che chi critica manifesti comunque il desiderio di essere organico con questa maggioranza, quasi che costoro non vogliano prendere atto del fallimento dell’impostazione della politica cittadina e dello smantellamento del sistema partecipativo extrapartitico avvenuto negli ultimi 15 anni.

I movimenti sono anche la rappresentazione di tale fallimento: chi entra in relazione con altri cittadini per fare attività politica il più delle volte non lo fa per fare da puntello alla giunta bensì per divenire interlocutore e innovatore.

Non più deleghe in bianco quindi neanche in città la quale necessita di una sinistra che rappresenti e si faccia portatrice della vera innovazione possibile la affermazione dei diritti di cittadinanza e di accoglienza, tornare ad un’idea di lavoro che non preveda la flessibilità come condizione necessaria a discapito del diritto  alla sicurezza economica, diritto alla pace ed all’educazione, ad una convivenza che veda nella politica la rappresentazione del rifiuto delle vecchie logiche spartitorie, garantire i servizi e loro fruibilità rifuggendo all’idea che mercato è bello perché se alla fine l’elettore deve votare un liberista vota quello vero e non una sua copia sbiadita, magari mutuata dal post-tacherismo alla Blair.

In città tutto ciò vorrebbe dire definire un programma elettorale che sia esattamente opposto alla visione disintegrante di quel poco si sistema di protezione sociale che è rimasto in questo paese. Privatizzazione dei servizi vuol dire accettare l’idea che WTO e GATS imporranno di qui ai prossimi anni.

Gestire un comune come è amministrato quello di Porto Alegre vuole dire affermare la propria diversità e opposizione a quel modello sociale!

E perciò che sui temi della società solidale, impegno e partecipazione oggi, proponiamo alla discussione i seguenti punti programmatici, emendabili e integrabili da chi leggerà queste righe:

  1. Sul piano del rapporto fra vecchia rappresentanza, movimenti e società:
  1. Studiare forme partecipative che si rifacciano all’idea di “Bilancio partecipativo” attuato in città ben più grandi e complesse di Reggio Emilia e su cui alcuni amministratori stanno iniziando a riflettere;
  2. creare un forum dei movimenti e delle associazioni nel quale si discutano nuove forme di partecipazione e che avvii un confronto volto a innovare la politica e i modi dell’amministrare nell’intento di innescare un processo di trasformazione della città nella direzione dei bisogni attuali delle vecchie e nuove classi subalterne, delle vecchie e nuove povertà.
  1. Sul piano della socialità:
  • La lotta per l’articolo 18 e contro il precariato, con il suo esplicito monito all’abbandono di logiche occupazionali neoliberiste, può e deve avere un versante locale, soprattutto di fronte ad una possibile recessione, ingenerata dalla guerra, e, come ci insegnava Serravalli, in sede CGIL, alla più che probabile compartimentazione del mercato del lavoro che ne deriverebbe.

Occorre perciò che i programmi della sinistra a Reggio prevedano meccanismi di integrazione degli immigrati esterni ed interni, che vanno:

  • dalla previsione di percorsi guidati di ingresso e di stabilizzazione in città per i singoli e le famiglie immigrate,
  • all’allestimento di corsi di formazione e di aggiornamento rivolti a tutto il personale delle istituzioni e centrati sul tema dell’integrazione, dell’autocotonizzazione, del meticciato sociale;
  • alla definizione di una politica per la casa che li comprenda e non li sfrutti;
  • alla ridefinizione radicale degli obiettivi pedagogico-didattici dei nidi, delle materne, e della scuola tutta che partano da concreti programmi di autoctonizzazione e di meticciato sociale, cui si accennava prima, e non si limitino alla logica (peraltro appaltata al privato) dell’accoglienza;
  • alla ridefinizione dei percorsi di fruizione delle cure sanitarie e assistenziali secondo una logica interpretativa dei bisogni di cura e una logica prestazionale della cura stessa che comprenda l’immigrato e lo consideri una risorsa e non un impiccio;
  • all’abbandono della politica della sicurezza nell’accezione escludente, razzista, e tendente al restringimento degli spazi democratici e di libertà personale ( Telecamere, ecc… ) che essa ha assunto in questi ultimi anni anche in città. Rafforzamento degli interventi già esistenti miranti all’integrazione.
  1. Sul piano delle forme della partecipazione

Rompere con l’autoreferenzialità e instaurare forme di partecipazione basate su:

  1. espansione dell’area dell’informazione pubblica sugli interventi municipali, che abbia le caratteristiche di capillarità, di coinvolgimento dei gruppi formali ed informali con interessi specifici presenti sul territorio;
  2. definizione di criteri di consultazione del cittadino, di accoglienza dei suggerimenti, delle richieste e delle lamentele più ampi e chiari di quelli attuali;
  3. previsione di un budget per le iniziative dei cittadini volte a promuovere iniziative di interesse comune
  4. previsione di pubbliche udienze sui grandi temi e di udienze specifiche sui tematiche richieste da gruppi cittadini operanti nel sociale sui temi della pubblica amministrazione;
  5. gestione civica di infrastrutture e di servizi;
  6. Cooperazione municipale sui grandi temi sociali: droga, pubblica sicurezza, emarginazione, sui problemi del miglioramento della qualità della vita in città, sulla promozione sociale e culturale: sottraendo ai gruppi privati i servizi di natura sociale e promuovendo la cooperazione municipale o fornendo supporto pubblico a iniziative individuali;
  7. Prevedere consigli di partecipazione e di consultazione sui temi dell’assistenza sociale, dell’età evolutiva, della giustizia municipale, delle imposte.
  8. Intensificazione e più esteso intervento di Reggio Informa
  9. Stesura di una carta dei diritti dell’ambiente in grado di garantire la sensibilità ambientale di tutte le azioni intraprese in città, a partire dall’edilizia abitativa e produttiva, dai problemi del traffico, etc., da gestire con i residenti in base alla definizione di forme partecipative reali dei quartieri che prevedano la consultazione e la partecipazione ex ante, e non ex post, dei residenti finn dal momento della stesura dei progetti di massima.
  10. Difesa degli utenti e dei consumatori, di concerto con le associazioni che su questi temi sono presenti in città;
  11. riconoscimento le nuove realtà sociali – gli immigrati, gli anziani con scarso reddito e con scarsa protezione familiare, il mondo del precariato – come parti integranti della società reggiana, in quanto tale portatori di diritti e di doveri di rappresentanza e di cittadinanza, esattamente come gli altri strati sociali presenti in città;
  12. Riconoscimento del diritto di voto a tutti gli immigrati o quantomeno forme di consultazione che ad esso possa in qualche modo assomigliare.

 

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  1. Per una politica che sia espressione anche del pensiero femminile nel rispetto della differenza

Alla voce ‘guerra’ la prossima edizione di un qualsiasi vocabolario dovrà aggiungere, al già lungo elenco, il termine ‘preventiva’, questa è l’ultima intuizione dell’uomo violento. Guerra: situazione di grave contrasto che si tenta di risolvere con le armi, questa è la definizione, e questo è il pensiero corrente: la guerra è un’opportunità, una soluzione da usare tranquillamente quando il sovrano di turno lo ritiene opportuno. Fin’ora così è stato, ma noi pensiamo fermamente che così non debba più essere. L’uso della violenza non può ottenere risultati positivi perché da subito uccide e distrugge in modo irreversibile. La diplomazia, il dialogo, il perseguimento della giustizia sociale devono oggi diventare le “armi intelligenti”  Noi donne ben lo sappiamo, noi donne che la guerra la subiamo doppiamente, per noi e per i nostri figli, noi, da sempre fuori dalle stanze del potere, non abbiamo introiettato la cultura dell’uso delle armi, noi che la guerra non l’abbiamo  mai cercata, in guerra diventiamo oggetto di conquista e subiamo violenze inaudite.

 La guerra è di genere maschile. Come di genere maschile è il modello politico che conduce, dirige, regola le nostre vite. Di genere  maschile sono molte leggi emanate dal nostro Parlamento, dove ovviamente le donne sono presenti in numero ridicolo. Valgano per tutte la legge sulla procreazione assistita che riduce il ruolo della donna alla pari di una provetta o di un contenitore, e da ultima la legge sulla prostituzione che prevede l’arresto per la donna recidiva e una semplice multa per l’uomo. La prostituzione è diventata la nuova tratta delle schiave, una nuova industria globale, che al pari di una guerra, uccide la dignità di donne, bambine e bambini, uccide le loro vite con il diffondersi di malattie mortali. Le leggi citate sono leggi violente, sono offese alla dignità della persona. La legge sulla prostituzione ricorda la legge del codice Rocco che prevedeva  il diritto da parte dell’uomo di chiedere il divorzio per colpa in caso di tradimento da parte della donna ma non il contrario. Questa è storia recente, tanto recente che ancora trova humus nella sottocultura maschile che tenta di respingere e contenere i diritti delle donne.

I movimenti femministi, degli anni sessanta, hanno dato uno scossone in tutto il mondo, allo  status quo, hanno dato coraggio alle donne nella presa di coscienza e nella rivendicazione della propria identità, da sempre repressa e annullata dai  padri,  mariti e fratelli. Ma la partita è ancora aperta, anzi oggi viviamo in un periodo di grande arretramento, spesso la presenza del femminile nella società viene in modo subdolo confusa  per emancipazione,  spesso dalle donne stesse. Questo momento particolare della storia avvalora la tesi che la guerra mostra l’aspetto più estremo, frutto di quelle pratiche quotidiane intrise di prevaricazione, intolleranza, arrivismo.. Mentre i parlamenti votano per andare alla guerra, nelle case si fanno stragi inaudite.  sono di questi mesi, alcuni gravi episodi avvenuti nella nostra provincia. L’uso della violenza nella famiglia, oltre che a far “spettacolo televisivo”, spettacolo che naturalmente diventa più interessante se a uccidere sono le donne, ci deve fare riflettere sul fallimento di questo modello politico che non vuole mettere al centro i bisogni delle persone ma sceglie il profitto, il potere, il successo a tutti i costi. Tutti quelli che non si adeguano, sono rigettati dalla società, costretti a vivere ai margini e sentirsi inadeguati.

  Le donne hanno da poco vinto in modo ufficiale la loro battaglia contro la pratica del patriarcato: è rimasto quello strisciante. Guerra e patriarcato hanno in comune il potere assoluto della legge del più forte, di chi tiene sottomesso con la forza materiale e psicologica per propri fini, il più debole. Il patriarcato è un modello di per sé primitivo e violento, in funzione solo del potere dell’uomo su l’uomo e ha portato all’interno della società maschile stessa, crisi di identità nei rapporti fra padri e figli. Le donne  hanno, da relativamente poco, conquistato il diritto di voto (o gli è stato paternamente concesso), da poco una legge sulle pari opportunità contingenta, perché altrimenti prevaricata, la loro presenza nel mondo della politica, una legge sulla parità le mortifica togliendo loro la specificità in quanto donne. Pochi decenni fa,  sull’onda dei movimenti femministi, la legge sul divorzio e la legge sull’aborto (continuamente sotto attacco), hanno dato dignità alla donna, almeno sulla carta, considerandola una persona capace di intendere e di volere. Insomma il pensiero al femminile è assente dall’assetto politico. Il pensiero al femminile non ha potuto esprimersi in modo significativo. Come se in un modello così disegnato, la parte femminile dell’umanità non possa avere diritto di cittadinanza. Ora che anche diversi uomini non si riconoscono in quel ruolo che gli è stato cucito addosso, ora che molte donne hanno acquisito più sicurezza delle loro idee, da più parti avanza l’esigenza di un rimescolamento delle carte che tenga conto della dignità di tutte le persone in uguale misura.

 La sinistra ha timidamente appoggiato le donne nelle loro rivendicazioni, mai però ne ha anticipato le richieste.. Vogliamo mettere profondamente in discussione questo sistema “unilaterale” di gestione del mondo. Vogliamo mettere in discussione in ogni luogo questa pratica sessista discriminante. Non pensiamo che le donne siano “naturalmente” migliori degli uomini, ma la storia dimostra che a loro è stato da sempre assegnato un ruolo subordinato agli uomini, ma la maternità, più che la pratica del potere e la lotta nel mantenerlo, le ha rese immuni dalla frequentazione di ragionamenti  bellici. Creare la vita è un atto di giustizia, di altruismo, di pace.

La cultura della differenza sessuale deve entrare nelle istituzioni, nelle scuole nelle famiglie. Oggi i nostri figli e le nostre figlie non sanno nulla dei movimenti femministi, anzi,  la parola ha quasi assunto un valore denigratorio, noi pensiamo che debba diventare una materia conosciuta dalle giovani generazioni, utile a far comprendere la realtà che li circonda ancora piena di insidie per le donne .L’indipendenza, tanto agognata, ha bisogno di autonomia economica, di un lavoro, Il mercato ha aperto le porte alle donne per il semplice fatto che le donne costano meno, lavorano in condizioni molto meno sicure degli uomini e sono più facilmente licenziabili. Le donne di tutto il mondo sommano il lavoro famigliare a quello retribuito, lavorando di più degli uomini e per leggi  accettate anche dai sindacati, hanno salari più bassi della controparte maschile. E ancora per avere indipendenza ci vuole una rete di assistenza per anziani e bambini, normalmente accuditi dalle donne, aiuti istituzionali che proprio in questi tempi sono in forte crisi.

 In molti paesi in via di sviluppo, le donne svolgono un lavoro fondamentale  per far funzionare la città e le case, con il reperimento dell’acqua e del combustibile. Il mantenimento di un minimo di condizioni igieniche in assenza di fognature, sono tutte azioni quotidiane contro il degrado ambientale e per la dignità della persona. le donne si stanno assumendo in molte città del terzo mondo la responsabilità contro la catastrofe ecologica.

Abbiamo paura che di questo e d’altro i nostri figli e le nostre figlie non sappiano nulla. Abbiamo paura che tutta la nostra storia vada perduta. E importante che le giovani donne conoscano le conquiste delle loro madri, per potere fare la loro parte nel perseguire i propri diritti. L’informazione ottunde le loro menti, propinando sempre i soliti schemi, la televisione e la stampa usano le donne come i quartieri a luci rosse di Amsterdam: tutte in vetrina ad esibire il proprio corpo.

Chiediamo a chi  governa che Reggio diventi “laboratorio” anche per il raggiungimento di giustizia ed equità fra i due sessi. Bisogna far conoscere alle giovani generazioni le problematiche legate alla differenza senza dare per scontato il raggiungimento della parità dei diritti, che alla pari della Pace va coltivata giorno per giorno, nelle nostre case, nelle strade, nelle scuole, sul lavoro, dove sono ancora frequenti i comportamenti di prevaricazione nei confronti delle donne.

Insegniamo agli uomini quali sono i limiti dei propri diritti, insegniamo alle donne ad avere più fiducia in se stesse, per partecipare insieme alla costruzione di una società più giusta e solidale. Un mondo più giusto non solo è possibile,  è necessario, le donne lo sanno.

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  1. Povertà, emarginazione, problemi di integrazione degli immigrati e conseguentemente ridefinizione dello welfare reggiano

Nella prima parte dei nostri appunti abbiamo tentato di riflettere sui problemi della socialità e della rappresentanza. Cercheremo ora di entrare all’interno dei contenuti della politica locale a Reggio Emilia. In questa seconda parte affronteremo i problemi della ridefinizione del welfare, di fronte ai grandi cambiamenti intervenuti in città; nella terza ed ultima parte i problemi dell’ambiente.

 

Critica dei limiti della politica locale a Reggio Emilia sul terreno del welfare e dell’ambiente

Per una critica radicale ai limiti della politica locale a Reggio Emilia pensiamo occorra partire innanzitutto da una analisi destruens di questi limiti, per giungere poi, subito dopo, alla definizione di una parte costruens che non può non scaturire dalle riflessioni e dalla pratica del movimento dei movimenti che si sta sviluppando in città ed in Italia ormai da più di un anno per quanto riguarda i ‘girotondi’, e da ben più lungo tempo per quanto riguarda i no global e il movimento dei lavoratori.

Partiamo dall’analisi dei deficit di rappresentanza degli interessi della sinistra in città che, a nostro avviso, sono:

  • L’abbandono di una politica del lavoro e dell’occupazione che vada al di là dell’assecondamento dei percorsi ‘spontanei’, cioè neoliberisti, di crescita dell’economia locale, e che, di fronte ad una possibile recessione (guerra, prezzo del petrolio, aumento dei costi di produzione e di distribuzione), vede la sinistra nella impossibilità di governare la più che probabile compartimentazione del mercato del lavoro che ne deriverebbe. Compartimentazione che, come dicono gli esperti, sostanzialmente vedrebbe il mercato del lavoro divaricarsi in: a. settori protetti in cui confluirebbero i lavoratori autoctoni e qualificati; e b. settori non protetti in cui si addenserebbero le fasce più deboli e non qualificate, sottolineando che le donne di ogni età e appartenenza sarebbero le più penalizzate. Da questa compartimentazione questi due settori sarebbero pericolosamente destinati ad allontanarsi fra di loro e a definire nel nuovo territorio multietnico modelli di integrazione a dir poco polemici. Ciò segnerebbe nel medio periodo la fine di quella diga all’odio fra le varie etnie ed alla xenofobia finora rappresentata in Emilia dal persistere di un solidarismo laico che fino ad oggi ha dimostrato maggiori capacità di tenuta del solidarismo cattolico del vicino Veneto che, come l’Emilia, in questi ultimi 30 anni è stato sottoposto ad un velocissimo processo di trasformazione del tessuto sociale, con tutti i rischi di ‘anomia’ (rapida obsolescenza dei vecchi valori e non sufficiente condivisione dei nuovi) che ciò solitamente comporta.
  • Il sostanziale abbandono del progetto di welfare pubblico e universalista di cui, fino a 10 anni fa menavamo vanto per il mondo, in favore di una politica di appalto al privato, quasi a riprodurre quei modelli di sviluppo di un occidente che non ci appartiene. Con la conseguente spoliazione dal tessuto cittadino di una tradizione ormai trentennale che sta avvenendo solo per ragioni di meri accordi elettorali fra le due anime della vecchia politica del centro sinistra. Siamo fermamente convinti che tutti i beni e i servizi primari  rivolti ai cittadini, debbano essere trattati con una cura superiore e per questo non delegati a chi , ne vuole trarre profitto alla stregua di merci qualsiasi.
  • Una politica dell’ambiente che sta consegnando una città che potrebbe essere salvata, ad agenti inquinati che non piovono dal cielo, né possono essere visti semplicemente come il prodotto delle deiezioni di singoli cittadini sciagurati, ma sono il prodotto di una politica urbanistica, di un modello di pianificazione delle aree industriali e abitative, di una impostazione dello smaltimento dei rifiuti, di un impegno sul traffico, di una serie di omissioni e di storture nel governo dell’ambiente (urbanizzazione abnorme, deficit di verde pubblico, deficit di politiche alternative di trasporto pubblico e privato, assenza di piste ciclabili, etc.) che, lungi dal partire dagli obiettivi di salute dei cittadini, hanno sostanzialmente attentato in questi anni alla loro integrità, alla nostra vita. In questo punto si evidenzia una pratica politica che deve essere superata: non dell’aumento della viabilità ci si deve occupare , bensì di minore traffico privato e maggiore traffico pubblico, non di una sempre maggiore capacità di smaltimento dei rifiuti ,ma di una politica volta ad educare ad un consumo sostenibile, argomenti questi che se sono ormai imprescindibili a livello mondiale non devono sfuggire a livello locale.
  • La traccia fin qui designata deve essere intesa come strumento per uscire dai “vizi” della politica vecchia e superata che, inevitabilmente, anche nella nostra città, ha portato ad alleanze e manovre a discapito del cittadino, in una logica di progetto solo a breve termine, senza una visione d’insieme per interpretare i nuovi scenari della storia.

 

Per la ridefinizione di un programma radicale per la città, frutto della pratica del movimento dei movimenti

Il movimento dei movimenti nasce dalla critica pratica al governo Berlusconi, alla guerra e alla logica neoliberista e neoimperialista ed è sostanzialmente composto da tre componenti: il movimento dei lavoratori e in prima istanza la CGIL, i movimenti new global e i ‘girotondi’.

Ognuno dei tre movimenti è stato capace di mobilitare masse enormi di soggetti critici: nei confronti delle logiche neoliberiste, così come degli attacchi all’ambiente, nei confronti della guerra, così come del governo Berlusconi e dei suoi sostanziali attacchi alla Costituzione, alla giustizia, all’informazione e alle libertà civili.

Sul piano locale finora il rapporto dei movimenti con i partiti e con i soggetti vecchi e nuovi presenti in città sono stati contraddistinti, a seconda dell’agenda politica che si imponeva sul piano nazionale ed internazionale, ora da una sostanziale presa di distanze, ora da un interesse che coinvolgeva soprattutto le basi di queste entità collettive, ora da una sia pur parziale integrazione.

L’approssimarsi delle amministrative, come è già abbastanza chiaro, spinge le forze politiche a volgersi al movimento dei movimenti al fine: di innovare i programmi, di integrare una parte di queste forze, di distinguere fra buoni e ‘cattivi’, di mitigarne i programmi nella fase delicatissima del passaggio dall’interesse per gli obiettivi extra-reggiani a quello per la politica locale.

Per cui in primo luogo pensiamo che tutti gli elementi di novità e di verità che vengono fuori dal movimento dei movimenti vanno confrontati al nostro interno in modo che possano essere verificati gli elementi di convergenza possibili su alcuni elementi programmatici, per noi decisivi, da proporre in un secondo tempo e unitariamente ai partiti e ai gruppi politici.

Riprendiamo quindi i quattro punti precedenti e vediamo se e come sia possibile trasformarli in elementi di un progetto che possa contribuire alla definizione di un programma no liberal, no berluska, no inquinamento.

  1. La lotta per l’articolo 18 e contro il precariato, con il suo esplicito monito all’abbandono di logiche occupazionali neoliberiste, può e deve avere un versante locale, soprattutto di fronte ad una possibile recessione, ingenerata dalla guerra, e, come ci insegnava Serravalli, in sede CGIL, alla più che probabile compartimentazione del mercato del lavoro che ne deriverebbe. Occorre perciò che i programmi della sinistra a Reggio prevedano meccanismi di integrazione degli immigrati esterni ed interni, che vanno:
    1. dalla previsione di percorsi guidati di ingresso e di stabilizzazione in città per i singoli e le famiglie immigrate,
    2. all’allestimento di corsi di formazione e di aggiornamento rivolti a tutto il personale delle istituzioni e centrati sul tema dell’integrazione, dell’autocotonizzazione, del meticciato sociale;
    3. alla definizione di una politica per la casa che li comprenda e non li sfrutti;
    4. alla ridefinizione radicale degli obiettivi pedagogico-didattici dei nidi, delle materne, e della scuola tutta che partano da concreti programmi di autoctonizzazione e di meticciato sociale, cui si accennava prima, e non si limitino alla logica (peraltro appaltata al privato) dell’accoglienza;
    5. alla ridefinizione dei percorsi di fruizione delle cure sanitarie e assistenziali secondo una logica interpretativa dei bisogni di cura e una logica prestazionale della cura stessa che comprenda l’immigrato e lo consideri una risorsa e non un impiccio;
    6. all’abbandono della politica della sicurezza nell’accezione escludente e razzista che essa ha assunto in questi ultimi anni anche in città.
  1. Sul piano del welfare locale chiedere alle forze politiche un pronunciamento sui vincoli del GATS che prevedono che una volta avviate le privatizzazioni dei servizi (sanità, educazione, acqua, etc.) non sia possibile tornare indietro. Ed in concreto:
  1. schierarsi contro la privatizzazione dell’AGAC e a favore di un ritorno al pubblico, sotto forma cooperativistica;
  2. rigettare le tendenze all’aziendalizzazione del welfare pubblico ed instaurare un modello di conduzione dei servizi sanitari, scolastici, prescolastici, assistenziali che si basi sul prendersi cura del cittadino e del suo contesto di vita e di lavoro;
  3. improntare, come dicevamo prima, la capacità di lettura dei bisogni odierni dei tecnici del welfare ponendo al primo posto il tema dell’immigrazione e dell’autoctonizzazione degli immigrati e del meticciato sociale;
  4. definire, di concerto con la Regione modelli trasparenti di appalto al privato sociale cooperativo : a) che premino i più meritevoli e le associazioni del privato no profit che – dopo un periodo di prova non infinito – garantiscano un lavoro continuativo ai giovani professionisti del welfare, e non seminino precariato; b) che fissino tetti massimi oltre i quali i privati non possano andare poiché diventerebbero portatori di interessi ‘oligopolistici’; c) che favoriscano l’integrazione fra pubblico e privato, per lo meno in sede formativa;
  5. recuperare gli elementi più significativi derivanti dagli aspetti delle tradizioni pubbliche locali ancora vivi e fecondi, in un’opera di co-programmazione e di cogestione dei servizi allocati nel privato no profit;
  6. definire e finanziare programmi di prevenzione che vedano come perno i servizi pubblici de-aziendalizzati, poiché – diciamolo chiaro – la prevenzione affidata ai privati, quando non è un affare, è semplicemente un non sense;
  7. remunerare adeguatamente gli i operatori del privato sociale, selezionati come detto sopra, lasciare spazi nei loro orari di lavoro per la formazione e la definizione di percorsi di crescita professionale, in modo tale da garantire anche da parte loro prestazioni sempre più qualificate e confrontabili con quelle del pubblico, garantirli sul piano occupazionale;
  8. proporre l’innesco di una complementarità fra pubblico e privato sociale sulla base della storia e dall’esperienza del modello di welfare reggiano, che non è cosa da buttare via, come stoltamente qualcuno in un recente passato ha pensato, anzi.

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  1. Per una nuova politica ambientale

Sul piano ambientale pensiamo occorra partire dalla lotta per la ridefinizione di un piano regolatore e contro ogni  progetto  di urbanizzazione abnorme; dalla lotta per una città vivibile, sana, per noi e per i nostri figli, di una città che non sia più in deficit di verde pubblico; dall’innesco di politiche alternative di trasporto pubblico e privato e di piste ciclabili. Di seguito tentiamo una dettagliata analisi dell’argomento.

 

  1. La riqualificazione del quartiere

 

A Reggio Emilia, negli ultimi 10-15, abbiamo assistito anni ad una eccezionale crescita urbanistica, che ha allargato enormemente la periferia della nostra città con la nascita di veri e  propri nuovi quartieri densamente popolati. L’impressione è che tale crescita sia stata soprattutto quantitativa e non qualitativa. All’aumento degli alloggi non è seguita la creazione di nuovi servizi e infrastrutture, quali parchi, centri sportivi, associativi, ricreativi, culturali (basti pensare che da alcuni anni non esiste in città una piscina scoperta pubblica). C’è anche stata una rarefazione delle piccole attività commerciali sostituite da grandi  ipermercati, posti spesso lontani dalle aree abitative. Ci troviamo perciò di fronte a quartieri periferici, profondamente ridisegnati, caratterizzati da una cronica carenza di servizi e di spazi per il tempo libero e la socialità.

Le conseguenze di questa situazione sono fortemente negative sul piano antropologico e ambientale. La mancanza di luoghi che favoriscano la socialità spontanea, porta inevitabilmente ad un’accentuazione dei comportamenti individualistici e ad una riduzione del grado di solidarietà, che è alla base di quella rete di protezione sociale, che negli anni passati ha apportato un notevole valore aggiunto al modello di società emiliano-romagnolo. La riduzione del livello di solidarietà crea anche notevoli problemi e rallentamenti al fondamentale e necessario processo di integrazione dei flussi migratori, che hanno avuto un fortissimo impulso in questo ultimo periodo. Per tali motivi, i quartieri si trasformano spesso in zone dormitorio e aumentano così anche i problemi legati alla sicurezza, che possono trovare soluzione soprattutto attraverso la presenza attiva dei cittadini, quando i quartieri siano pienamente vissuti.

Questa quadro, produce indirettamente un forte aumento del livello di mobilità dei cittadini, che si vedono costretti a spostarsi dal quartiere per raggiungere negozi, servizi, occasioni di incontro. L’aumento di mobilità si realizza prevalentemente attraverso l’uso dell’automobile privata, che viene spesso preferita anche per gli spostamenti casa-lavoro-casa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un aumento esponenziale del traffico negli ultimi anni, che ha generato una notevole diminuzione della sicurezza sulle strade, testimoniata dal sensibile aumento del numero di incidenti stradali; una maggiore perdita di tempo per gli spostamenti, causa di stress e di deterioramento della qualità di vita; un estremo peggioramento della qualità dell’aria, che ultimamente ha raggiunto livelli allarmanti, al punto da diventare emergenza sanitaria.

Le contromisure adottate dagli organi di governo locale, a fronte del peggioramento della qualità dell’aria, sono risultate finora insufficienti. La risposta prevalente è stata quella di intervenire per fluidificare il traffico automobilistico, attraverso la creazione di nuove strade, tangenziali, bretelle, assi attrezzati, rotonde. Ciò crea però un feedback negativo, in quanto, in questo modo, si incentiva l’utilizzo dell’automobile e si ottiene un’inevitabile aumento del traffico; per cui, le misure adottate per risolvere le situazione di congestione diventano via via insufficienti. Le nuove arterie stradali vanno frequentemente a tagliare i quartieri, creando per i pedoni e i ciclisti barriere difficilmente superabili, dividendo le circoscrizioni in compartimenti stagni, togliendo o riducendo notevolmente la fruibilità dei servizi agli abitanti. In questo contesto, interventi parziali, indubbiamente apprezzabili, come la costruzione di piste ciclabili o la realizzazione di piccoli parchi di quartiere,  risultano inefficaci, perché l’elevato livello di traffico e di inquinamento, rende scarsamente utilizzabili questi spazi. Infine, l’introduzione della circolazione a targhe alterne costituisce un intervento estremo di carattere temporaneo, che ha lo scopo di tamponare una situazione di emergenza per la salute dei cittadini, che però ha ormai ha assunto una forma cronica, e mette in evidenza l’inefficacia delle scelte strutturali fin qui operate.

Gli interventi di medio e lungo periodo in grado di migliorare questa situazione dovrebbero andare verso una graduale  riduzione della necessità di mobilità, che ponga il quartiere al centro della programmazione,  della gestione e della riqualificazione del tessuto urbano. E’ necessario un decentramento per aree ristrette, con l’obiettivo di avvicinare ai cittadini tutti i servizi, pubblici e privati, facendo in modo che siano raggiungibili a piedi o in bicicletta. Occorre ridurre gli spostamenti per motivi burocratici, incentivando l’impiego della telematica per effettuare adempimenti amministrativi, pagamenti ecc. Occorre in definitiva arrivare a una riqualificazione del quartiere, che produca una riduzione della necessità di mobilità. Si creerebbe così un feedback positivo, perché il tempo risparmiato dai cittadini in spostamenti si tradurrebbe in maggiore tempo libero; aumenterebbero le occasioni di incontro e socialità nel quartiere, innalzando il grado di solidarietà e accelerando i processi di integrazione; si rafforzerebbe la presenza attiva degli abitanti sul territorio, con una riduzione dei problemi legati alla sicurezza; infine, si ridurrebbe il volume di traffico automobilistico, con un conseguente miglioramento della qualità dell’aria.

Parallelamente occorre incentivare le forme di trasporto alternativo all’automobile privata, aumentando e razionalizzando la rete delle piste ciclabili e pedonali, favorendo il trasporto pubblico rispetto a quello privato su automobile. Questo obiettivo si può raggiungere attraverso la creazione di evidenti vantaggi per il cittadino nell’uso dei trasporti pubblici. L’esperienza pilota dei parcheggi scambiatori della  Polveriera e di Via Cecati è incoraggiante in questo senso ed stendibile su scala più ampia. Grandi vantaggi si otterrebbero dalla costruzione delle due metropolitane di superficie sugli assi Bagnolo-Reggio e Cavriago-Ospizio, la cui realizzazione era stata inserita nei programmi elettorali dell’attuale Giunta.

2. La gestione dei rifiuti

L’annunciata costruzione del nuovo inceneritore per il trattamento dei rifiuti solidi urbani, la cui localizzazione verrà resa pubblica a breve, ha generato nella nostra Provincia fenomeni di protesta popolare, che hanno portato alla nascita di comitati di cittadini, che temono gli effetti dell’inquinamento ambientale che il nuovo impianto produrrebbe.

Non intendiamo entrare nel merito delle questioni tecniche che potrebbero portare alla scelta di un inceneritore, piuttosto che all’apertura di una discarica controllata, che è il sistema alternativo per lo smaltimento dei rifiuti. Vogliamo invece porre l’attenzione sulla necessità di avviare e consolidare una politica ambientale, che stimoli e premi la riduzione della produzione di rifiuti, tramite un elevato recupero dei materiali in essi contenuti, attraverso la pratica del riciclaggio.

Occorrerebbe incentivare la produzione di beni fortemente riciclabili, creando meccanismi virtuosi, che obblighino ad esempio il produttore a occuparsi di ciò che rimane del bene dopo il suo utilizzo, oppure che premino i cittadini che contribuiscono alla raccolta differenziata. Sarebbe opportuno responsabilizzare gli utenti che sono i principali attori dell’attività di raccolta differenziata, attraverso adeguate campagne di informazione e di educazione; bisognerebbe anche stipulare convenzioni con le imprese per la riduzione degli imballaggi.

Molto più ambizioso è pensare ad una riduzione dei rifiuti che derivi da una limitazione dei consumi. E’ sotto gli occhi di tutti la forte sperequazione di beni e risorse tra paesi ricchi e paesi poveri e in termini di sostenibilità ambientale è assodato che il modello di sviluppo dei paesi ricchi non è esportabile. Non ci sarebbero sufficienti risorse per sostenere, da un punto di vista ambientale, un’estensione del nostro livello di consumi a tutti gli abitanti del pianeta. Questi problemi non sono risolvibili all’interno di uno stretto ambito territoriale, quale una Provincia e tanto meno un Comune, ciononostante sarebbe importante che si assumessero atteggiamenti eticamente coerenti, che dovrebbe tenere conto dei limiti ambientali, non solo a livello locale, ma anche a livello globale. La riduzione del consumo di beni materiali è un passaggio fondamentale per ottenere una più equa distribuzione delle risorse a livello globale. Questa riduzione deve partire dalla maturazione della consapevolezza che il nostro livello di consumi supera ampiamente ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere dignitosamente. Essa dovrebbe essere sostenuta da un nuovo approccio culturale, che privilegi un concezione del welfare di tipo ambientale e relazionale, che ponga i valori della qualità del territorio urbano, dell’accoglienza, della solidarietà  al vertice della scala dei valori socialmente riconosciuti. Quindi, anche la questione della limitazione della produzione dei rifiuti è collegabile al progetto di riqualificazione dell’ambiente urbano.

Tornando alla questione dell’inceneritore, la riduzione della produzione di rifiuti si potrà ottenere solo nel medio-lungo periodo e non è possibile in questo momento pensare di potere eliminare immediatamente inceneritori e discariche. Nel caso si arrivasse a decidere la costruzione di un nuovo inceneritore, si dovrebbero subito stabilire alcune linee guida: in primo luogo andrebbe scelta la migliore tecnologia, che consenta di minimizzare le emissioni inquinanti; l’attività dell’impianto  dovrebbe essere riferita e limitata al solo territorio provinciale; occorrerebbe una modularità di funzionamento, così da favorire la riduzione dell’incenerimento dei rifiuti e il parallelo aumento della raccolta differenziata e del riciclaggio; la localizzazione dovrebbe essere lontana da centri abitati. Nelle scelte che verranno effettuate si deve prevedere un forte, ampio e costruttivo coinvolgimento dei cittadini, delle Associazioni ambientaliste, dei comitati.

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Reggio Emilia, Aprile 2003

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