Giampaoli, Poli e Poletti

Dino Angelini

26.4.14

Il ministro del lavoro Giuliano Poletti, durante la conferenza stampa a palazzo Chigi al termine del consiglio dei ministri, Roma, 18 maggio 2015. ANSA/ ANGELO CARCONI

Ieri – 25 Aprile, giornata in cui si commemora la Resistenza – il Ministro Poletti era l’oratore ufficiale a Reggio, in Piazza “Martiri del 7 Luglio”. Primo punto di forza del suo discorso: il suo paragone fra l’ordine che regna spontaneamente in casa, dove se uno butta una carta in terra c’è sempre un familiare che spontaneamente lo riprende; e la delega allo Stato dell’ordine e della pulizia che deve regnare nella società.

Società di cui tutti facciamo  parte, ma in cui nessuno – a suo avviso – si muoverebbe di fronte allo stesso gesto incivile.  Poi questo novello Menenio Agrippa è passato a tessere le lodi del governo invocando apertis verbis il voto alle europee; e spargendo lacrime di coccodrillo sui giovani precari senza futuro, dimenticando di dire che il suo Job Act estende l’area del precariato. E dimenticando soprattutto di dire una parola sulle ragioni per le quali – suppongo –  era stato invitato: quelle della Resistenza, e della Costituzione. Sulla quale, nel frattempo, con i suoi amici di governo e con il Berluska di sempre (ma con grandi perplessità dell’ANPI) si accinge a mettere le mani.  Il tutto avvolto in una melassa che del solidarismo laico di questa terra è solo lontana e discutibile parente.

Poi ieri sera in prima serata su tutti i canali TV una melassa ancor più appiccicosa con “in evidenza” un Massimo Bernardini che ci ha “guidato” – si fa per dire – sul cammino della Resistenza, accompagnato dal reggianissimo e scivoloso vaticanista cattolico Melloni. E come prima domanda gli ha chiesto: “ma siamo sicuri che quando sono insorte le città del Nord i tedeschi non erano già partiti?”. Tutti inquadrati e pronti a montare sul carro del vincitore, insomma. Bleah!

E a Reggio? Anche qui in un tripudio di “Osanna!” la Grosse Koalition locale, dopo le adesioni di Poli e Giampaoli, imbarca i Leoni di San Prospero. Perfino!  Mi chiedo, e chiedo a chi mi leggerà: cosa significano questi movimenti, che comprendono – presumo come testimone del mondo del privato sociale cattolico – anche il mio amico Matteo Iori? Sono essi un segnale della nascita in città di un nuovo blocco sociale, che implementa l’area del consenso di base al PD ed ai suoi alleati? Oppure si tratta di un movimento galvanico delle varie caste e castette cittadine?

E se è vera la prima ipotesi – come io sono propenso a credere – di quali strati sociali, e soprattutto di quali interessi è portatore il duo Poli – Giampaoli?  E come questi interessi potranno “comporsi” con quelli solitamente rappresentati dalla classe dirigente del PD e dei suoi alleati?

Il blocco sociale che a partire dagli anni ’80 stava dietro il PCI guidato dalle nuove generazioni che erano subentrate alla vecchia guardia comunista era figlio: – della mancata battaglia per il decentramento della fiscalità, che aveva creato effetti perversi sul welfare favorendo spesso gli evasori e castigando i lavoratori dipendenti; – e della susseguente politica di espansione edilizia per far cassa (Malagoli docet). Cui sono succeduti in un secondo tempo, e cioè lungo il percorso che dalla Zarina conduce a Delrio, la privatizzazione dei servizi, l’assalto ai beni comuni, e le dispendiose avventure delle grandi opere locali.

Il tutto di fronte ad una classe imprenditoriale che negli stessi anni non solo ha smesso di reinvestire in loco, ma – per fortuna con significative eccezioni (vedi il distretto del packaging in val D’Enza) – si è mossa sul piano della finanziarizzazione e, da ultimo, della riallocazione delle aziende là dove di volta in volta chiamava il profitto. E ad una cooperazione che ormai da tempo – almeno nei suoi comparti principali –  ha cessato di fare da ammortizzatore sociale, com’era stato nell’immediato dopoguerra.

Il blocco sociale che ne è derivato ha i suoi punti di forza negli interessi “composti” che nascono intorno a ciascuno di questi vettori della trasformazione. L’arrivo sul carro del probabile vincitore (Luca Vecchi) di sezioni del Polo (Giampaoli) che probabilmente rappresentano i nuovi strati sociali rampanti, e di una parte del cattolicesimo locale che fin dall’inizio si era schierato con la destra (Poli) tende a mio avviso ad estendere i confini di questa congerie di strati e d’interessi. A danno di tutti gli altri. E con prevedibili livelli di litigiosità, prodotti se non altro dal sovraffollamento, che alla lunga sarà difficile ricomporre in una unità d’intenti e di programmi.

Alcuni amici ai quali ho sottoposto queste mie domande sostengono che quest’insieme di liste a sostegno di Vecchi (otto!) sia solo il segnale del timore del PD di andare al ballottaggio. Se fosse così, e se poi si andasse al ballottaggio, a mio avviso potrebbe anche succedere il patatrac! Perché avendo fatto il pieno di ogni possibile ulteriore alleanza, in quei fatidici quindici giorni Vecchi non avrebbe più nessuno cui appellarsi.

Io nel frattempo al primo turno voto Francesco Fantuzzi. Perché mi pare espressione di una lista capace di sentire e raccogliere ciò che proviene dagli esclusi e dai delusi. Di raccoglierlo e di portarlo “lì”! dove – a fronte del coro degli yes man – qualche voce discordante può fare solo bene!

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