dixi, et servavi animam meam

“La ristrutturazione della USL”

Lettera apparsa il 3 Dicembre 2004 su ‘La Gazzetta di Reggio

 

Gentile Direttore,

le scrivo a proposito della silenziosa, ma non perciò  meno importante ristrutturazione che da qualche tempo sta avvenendo all’interno dei servizi territoriali delle ex-USL della nostra provincia. Il loro accorpamento in un’unica Azienda-Usl e la profonda trasformazione delle ragioni di fondo che le informavano (da servizi del welfare miranti alla erogazione di un salario indiretto per i cittadini ad un’azienda, appunto, che si pone sempre più fuori dall’area dei servizi, per entrare nell’area del mercato), tutto ciò sta avvenendo nel silenzio non solo degli addetti ai lavori, ma anche delle forze politiche e sociali.

Mi pare invece che una così corposa ristrutturazione meriti una  disanima delle ragioni di fondo che la informano, cosa che con queste righe, e grazie alla sua ospitalità, vorrei cominciare a fare.

A me pare innanzitutto che il perseguimento della qualità totale, visto come superamento dell’ottica del lavoro di “servizio” e di “settore” (di quelle, insomma, che il Dott. Guizzardi chiama le strutture “a canne d’organo”) comporti una serie di rischi che potrebbero, nel medio periodo, mettere in discussione la sopravvivenza stessa dei servizi sanitari territoriali reggiani. Il ragionamento dell’attuale dirigenza, se ho capito bene, si basa sul riaccorpamento dei professionisti che operano nel territorio in una serie di “contenitori”, che, a scadenze date, si accorpano o si scorporano su singoli progetti, secondo i principi di una discussione periodica che vedrà partecipi i dirigenti dei singoli contenitori, i quali dovranno decidere, anno per anno e sentito il parere di istanze superiori di controllo, quanto investire in termini di risorse (umane e non) in ogni singolo progetto, quali professionalità coinvolgere, e chi dovrà avere la responsabilità dei progetti stessi.

Ora, se così stanno le cose, a me pare innanzitutto che, nel modello che l’amministrazione aziendalisticamente (cioè alquanto unilateralmente) ci propone non sia stato considerato a sufficienza quanti nuovi e più intricati impedimenti, quali nuovi rischi si nascondono in un processo di continuo rifacimento dei gruppi di lavoro che comporti la ridiscussione “perenne”, ed in contemporanea, sia della quantità, sia della qualità, sia del potere che si distribuiscono intorno ad ogni singolo progetto. Rischi di dispersione delle risorse, di usura nella definizione delle gerarchie, di conseguente ripiegamento in un operare monoprofessionale, di autoreferenzialità.

Non è di questo, però, che vorrei parlare, ma di una cosa che fortunatamente a Reggio Emilia ha lo spessore di una storia, qualcosa che sicuramente va ridefinita all’interno di un processo di più generale ridefinizione del welfare, qualcosa che potremmo definire come sedimentazione di pratiche, di metodiche, di modelli  dei servizi del welfare reggiano; pratiche, metodiche, modelli che nel progetto di aziendalizzazione che sta passando si rischia di spazzar via come cose vecchie ed obsolete.

E’ su questo aspetto della ristrutturazione che mi preme di spendere due parole, diciamo così, da psicologo.

Un qualsiasi gruppo di lavoro, così come un qualsiasi gruppo (primario o secondario ch’esso sia) ha bisogno, a mio avviso, contemporaneamente di tre elementi sui quali fondarsi: 1.un passato nel quale rispecchiarsi, cioè una tradizione alla quale rifarsi, se non altro in termini di confronto-scontro; 2.un presente nel quale poter creare, con tutte le caratteristiche di stabilità, di tranquillità che permettano una coniugazione che renda possibile “mettere al mondo” qualcosa di nuovo; 3.un futuro in cui proiettare, lanciare i propri progetti.

Ebbene è qui che il procedere per “contenitori che si fanno e si disfano nel tempo su singoli progetti”, a mio avviso, trova il suo limite più grosso. In questo modo infatti: 1.il passato viene denegato e ridotto a luogo della nostalgia (esattamente il contrario di quello che, ad es., a Reggio ha fatto Loris Malaguzzi con il patrimonio culturale accumulato nella propria istituzione); 2.il presente è un luogo in cui individui nomadi si incontrano e fortuitamente possono anche generare qualcosa, ma inconsapevolmente, per accidente (come avviene per le piante anemofile), non certo in talami solidi e ben piantati sul terreno in cui si sa chi si accoppia e che nome e cognome avranno i “figli” che da tali stabili unioni nasceranno; 3.ed il futuro un luogo in cui ogni follow up diventa improbabile poiché quei progetti così partoriti, come figli di incerta ascendenza, sono destinati a crescere senza memoria per un passato “mitico” in cui riconoscersi, e senza un amore forte ed individualizzato che li sostenga durante la crescita (ancora una volta al contrario di ciò che ha saputo fare Loris Malaguzzi con i suoi collaboratori e con i suoi utenti).

Spero di essere smentito dai fatti, ma mi preme di dire quel che penso sulla ristrutturazione se non altro a futura memoria.

Come disse quel tale: “dixi, et servavi animam meam”

                                Leonardo Angelini, psicologo

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