La retorica del silenzio

di Lia Cigarini, da Il Manifesto on line

Da molti anni si è sviluppata una critica femminile e femminista a quel misto di cultura e politica del potere che ha portato e mantenuto un Berlusconi a capo del governo. Questa critica si è espressa in convegni – ricordiamo quello del 2009 a Roma su «Sessualità e politica nel post-patriarcato» -, incontri, lettere ai giornali, prese di posizione in giornali, riviste e in rete. Questa critica non ha risparmiato quegli uomini, giornali e partiti che considerano Berlusconi come se fosse un’aberrazione isolata, nascondendo così tutto il contorno politico e culturale che fa di lui un’espressione di uno stile politico narcisista che tratta tutto e tutti in chiave strumentale.
Adesso ci chiamano a manifestare contro Berlusconi con la speranza di dargli il colpo finale. Chi fa questo appello? Si tratta di donne che apparentemente prescindono dalla realtà del movimento femminista avendo orecchie e occhi puntati sulla politica convenzionale, che ormai sta andando in pezzi.Non è la prima volta che questo capita. Queste donne a volte ignorano effettivamente come stanno le cose, altre volte invece fanno tabula rasa per ricorrere a una tipica retorica, per intenderci quella di «uscire dal silenzio». Non siamo mai state zitte, hanno risposto con spirito alcune delle tante impegnate nel femminismo.
Io mi chiedo: a che cosa serve quella retorica, quella ignoranza, perché viene cancellata la realtà delle donne proprio nel momento in cui ci si chiede di mobilitarci? Avrei una risposta: la politica delle donne sparisce proprio in quel momento perché disturba, anzi contrasta in pieno con la logica della politica tradizionale.
Un esempio. I vizi di Berlusconi altro non fanno che ingigantire i limiti di una sessualità maschile che con la politica c’entra, in barba alla vecchia separazione tra pubblico e privato. La critica a questa separazione, come è noto, è stata una leva della rivolta femminile. E da alcuni anni è diventata oggetto di autonoma riflessione maschile.
Un altro esempio di quanto la politica femminile disturba ce la dà la reazione alle dure ma pacate denuncie di Veronica Lario, reazioni volgari della destra e inconsistenti della sinistra che per mesi e mesi si è appellata, alla separazione tra privato e pubblico, quella seppellita dal femminismo quarant’anni fa.
E’ innegabile che c’è una diffusa voglia di far fuori questo personaggio e la sua cerchia al potere. La sento anch’io. Ma se questa voglia risultasse una sanatoria sull’ipocrisia della sinistra, sulle complicità maschili, sulla cancellazione sistematica della cultura politica femminista, io allora dico no. Con una simile sanatoria, a parte il sollievo generale per averla finita con quel personaggio, ci ritroveremmo, comunque, con una cultura politica devastata sia da lui sia dal modo ambiguo con cui è stato combattuto. Lui si è fatto forte con il populismo e la demagogia, si vuole farlo fuori a colpi di semplificazioni, slogan sbagliati, e facile moralismo.
Come tante altre sento la pressione a prendere posizione e dire sì oppure no alla manifestazione. Non ci sto. Quello che mi fa paura sono gli effetti suggestivi dei numeri, cioè delle tante firme, delle tante persone che sottoscrivono appelli di qua e di là, perché sempre più spesso fanno da surrogato alla presa di coscienza personale e all’impegno effettivo. Si perdono così i guadagni del femminismo, come l’ascolto delle persone senza parole, il primato della relazione non strumentale, un altro ordine di rapporti tra donna e uomo, la fine della confusione tra politica e potere.
Non si tratta solo del femminismo. Nel panorama politico accadono già cose significative in sé e promettenti (Mirafiori, università e scuola, ecc.) che il ridurre tutto all’antiberlusconismo priva di forza politica.
In definitiva, ciò a cui veramente mi sento di dire no è la chiamata delle donne, da parte di alcune di esse, a fare massa per una causa magari giusta che è nelle mani, però, di uomini e dei loro interessi.

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