La Medea di Mariangela Melato

di Dino Angelini

 

«Siamo noi che scendiamo fino agli antichi o sono loro che vengono da noi? Fa lo stesso. Basta tendere la mano, passano dalla nostra parte con facilità, ospiti estranei, uguali a noi.»

Christa Wolf

 

Ieri sera, nell’ambito delle commemorazioni per la scomparsa di Mariangela Melato, ho potuto assistere sulla quinta rete Rai alla rappresentazione teatrale di una “Medea” di Euripide, che vedeva proprio la Melato nei panni di Medea.

Avevo letto testo di Euripide ai tempi del liceo, in una traduzione della BUR, e in verità non ci avevo capito molto. Dopo moltissimi anni, intorno al 2000, avevo letto, sempre nella traduzione italiana, la Medea di Christa Wolf, che invece mi aveva avvinto, così come i suoi precedenti testi “Cassandra” e “Premesse a Cassandra”, ai quali mi era parso la Medea fosse legata, soprattutto per quei passi che in tutte e tre le opere cercano di cogliere nel mito le tracce del passaggio dal matriarcato al patriarcato.

Per cui nell’assistere alla magistrale interpretazione di Mariangela Melato non ho potuto fare a meno di fare un confronto fra i due testi che, nella interpretazione della grande attrice, mi sono apparsi come intrecciati. Mi è parso cioè che il testo di Euripide sia stato “letto” dalla Melato proprio come può farlo una donna moderna che – al di là della forza esemplare di un mito che contribuisce alla istituzione della società maschile fra i greci e per questa via anche fra noi – è in grado di cogliere le ragioni di Medea. Ragioni che sono legate da una parte a quelle della società matriarcale, dall’altra alla sua condizione di esule.

Ed è proprio su questo doppio versante che si pone la Medea di Christa Wolf che, – come scrittrice e, sulle orme di Graves, come archeologa del mito, – propone una rivisitazione delle figura di Medea, da lei vissuta: – da una parte come allusione mitologica al passaggio dal matriarcato al patriarcato, o meglio: dall’unione basata su Eros a quella basata sul matrimonio e sul possesso (sul “patrimonio”, per l’appunto); – dall’altra come allusione al rapporto fra autoctoni ed immigrati o esuli.

Medea per la Wolf, ma anche per Euripide!, rappresenta nel contempo: sia la forza travolgente di Eros (quella forza che l’ha condotta a tradire, per amore di Giasone, la propria famiglia e la propria gente); che la debolezza dell’esule, armata solo  del proprio potere magico – sapienziale che la espone ad ogni rischio di fronte ai corinzi, autoctoni ed etnocentrici.

L’unica differenza – sostanziale – fra la versione di Euripide e quella della Wolf è che per Euripide sono gli oscuri poteri magici di Medea e il suo presunto doppio infanticidio che spingono il re Creonte e i corinzi autoctoni ad espellerla dalla città come capro espiatorio.

Mentre per la Wolf  la doppia cacciata di Medea da Corinto è dovuta da una parte al re Creonte che sa che ella ha scoperto ciò che non doveva sapere, e cioè che è il re ad avere ucciso l’erede femmina che avrebbe rinnovato il potere matriarcale (!); dall’altra ai timori xenofobi dei cittadini di Corinto e alla loro ignoranza che li porta a temere i valori di cui è portatore l’altro da sé.

Ecco: mi pare che nella superba interpretazione di Mariangela Melato si possano riscontrare gli echi di questi enormi conflitti, oltre che una totale identificazione – direi nella parola, e soprattutto nel corpo – con questo prototipo di donna che ancora ci obbliga ad interrogarci sul rapporto fra i generi, e sul confronto fra la centralità del Soggetto e il confronto con l’alterità.

E una domanda sorgeva dentro di me ieri sera: Mariangela Melato aveva letto la Medea di Christa Wolf?

(Reggio Emilia, 13.1.13)

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