Obama – Con e senza velo. Come si archivia un lessico politico

di Ida Dominijanni, da Il Manifesto online di ieri 5.6.09

Tre citazioni dal Corano, dal Talmud e dalla Bibbia chiudono il discorso di Obama al Cairo e archiviano l’epoca senza grazia dello «scontro di civiltà», che altro non è mai stato che uno scontro interno ai tre monoteismi. «A new beginning», un nuovo inizio, può cominciare, e comincia, nello stesso stile del discorso di insediamento del Presidente a Washington, col richiamo a tenere a mente il cuore vivo della tradizione. Lì sta la fonte sorgiva del futuro anteriore, che è il tempo della rivoluzione. Nel tempo di adesso, che ancora una volta per Obama è quello della responsabilità, c’è il compito di liberarsi del passato prossimo e del suo vocabolario politico devastato e devastante. Storico per l’apertura politica e geopolitica, il discorso di Obama non lo è di meno per la nitidezza culturale con cui archivia certe parole e altre ne impone.

E’ una diversa percezione del mondo globale che irrompe dalla voce del presidente afroamericano cristiano venuto da padre kenyota e famiglia musulmana. Non più «noi» e «loro», il fantasma dell’Occidente e quello dei barbari, ma la realtà postcoloniale di un mescolamento già avvenuto: «l’Islam è parte della storia americana», la abita da decenni e da secoli nutre la cultura occidentale. Nella «new age» globale, «interdipendenza» è la parola chiave, la stessa che l’America ferita dall’attacco dell’11 settembre non volle prendere in considerazione. E se interdipendenza è la parola chiave, se la posta in gioco non è questa o quella nazione bensì la «comune umanità», bisogna ripartire dai «principi comuni» – giustizia, progresso, tolleranza, dignità umana – che Islam e America condividono.Tutto il resto, nell’operazione di archiviazione del vocabolario politico e sentimentale dell’epoca dello scontro di civiltà, consegue da qui. «Sospetto, discordia, paura, scetticismo, diffidenza» devono cessare e lasciare il posto al senso di reciproca obbligazione, al dialogo interreligioso, alla «fiducia nell’altro». Gli stereotipi devono cadere, ma da tutte e due le parti: nella percezione americana dell’Islam, ma anche nella percezione islamica dell’America, giacché «noi americani», l’Impero di oggi, «siamo nati da una rivoluzione contro un impero». La violenza deve finire, da tutte e due le parti, fra America e estremismo islamico e fra Israele e Palestina, perché è la storia dei neri americani, degli immigrati negli Usa dal Sud Africa, dal Sud Asia, dall’Europa dell’Est a dire «una semplice verità: che la violenza è una strada senza uscita». Ma è quando arriva nel territorio della religione occidentale per eccellenza, quello della democrazia, che l’operazione di ripulitura del vocabolario politico rende al meglio, perché è stato esattamente sul senso della democrazia, sulla sua «esportazione » all’esterno e sulla sua sfigurazione all’interno, che quel vocabolario è impazzito, dopo l’11 settembre, negli Stati uniti nonché in Europa. Qui Obama non si limita a dire che «nessun sistema di governo può o deve essere imposto a una nazione da un’altra», così archiviando le dichiarazioni di guerra fatte in nome di questo nobile scopo. Aggiunge il richiamo allo stato di diritto, rivendica la fine della tortura e la chiusura di Guantanamo. E fa di più, inoltrandosi nel campo della libertà femminile e dell’uguaglianza fra i sessi, consapevole che in materia «c’è un dibattito sano» e complesso, ma che il punto è ineludibile e cruciale, vera e propria cartina di tornasole della tenuta o del tracollo del discorso democratico di fronte alla sfida della differenza fra i sessi, le culture, le religioni. Non per caso la legittimazione delle guerre in Afghanistan e in Iraq era passata anche e non secondariamente sotto la bandiera della «liberazione» delle donne dal patriarcato islamico, una liberazione che sottintendeva l’equazione – indebita – fra libertà femminile e libertà occidentale; e non per caso il dibattito sulla liceità dell’uso del velo da parte delle immigrate islamiche nelle democrazie occidentali è stato negli ultimi anni il versante «pacifico»di questa ideologia, in Europa più che negli Usa. Anche qui, Obama fa ordine come meglio non si potrebbe. «Non condivido l’opinione di alcuni in Occidente che una donna che sceglie di coprirsi i capelli sia meno uguale delle altre, ma credo che a una donna a cui è negata l’istruzione è negata l’uguaglianza». Ma d’altra parte, «Non credo che le donne debbano fare le stesse scelte degli uomini per essere uguali, ma deve essere loro la scelta». I diritti di uguaglianza sono nelle mani dei governi, ma la libertà femminile è nelle mani delle donne, e non sempre passa per l’uguaglianza, o non solo. A ovest e a est, la credibiluità della democrazia passa anche da qua.

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