L’Altra Emilia Romagna. Idee e spunti per invertire la rotta

Dino Angelini, Carla Ruffini, Sergio Simonazzi (del Comitato di Reggio Emilia de ‘L’Altra Europa con Tsipras)

2010-06-27-together-we-will-win(Questa sintetica bozza di documento programmatico è stata presentata come contributo alla discussione in corso in Emilia Romagna sull’opportunità di presentare alle elezioni regionali una Lista ispirata all’esperienza dell’Altra Europa con Tsipras. Si tratta di idee e spunti aperti su cui costruire i presupposti di una riflessione che non guardi solo alla scadenza, ma che possa costituire per i Comitati dell’Emilia Romagna un orientamento condiviso da porre alla base della costruzione di un soggetto politico autonomo della sinistra, unitario e inclusivo, in grado di contrapporsi alla deriva delle larghe intese e alle politiche neo-liberiste ormai dilaganti anche in questo contesto regionale)

L’Emilia Romagna oggi: crisi di un modello e affermazione di un blocco sociale ‘neoliberista’ egemone

1. Fin dagli esordi della Seconda Repubblica in tutta l’Emilia Romagna – in base ad una alleanza via via più organica fra i più moderati ex-PCI e gli ex-DC ‘democratici’, che alla fine sfocia nel PD -, si definisce un nuovo centrosinistra che, da una parte, nasce in funzione difensiva di fronte all’emergere del berlusconismo ma, dall’altra, si propone di solidificare quel nuovo blocco sociale che era già nato alla fine delle prima repubblica e che da subito s’incardina, sia in Regione sia negli altri EELL, intorno ai seguenti vettori:

a – un modello di sviluppo incentrato su una massiccia cementificazione delle città, sul consumo di suolo, e sul conseguente stress ecologico, sulla nascita sempre più organica di situazioni di speculazione edilizia che spesso comportano intrecci o vicinanze sospette al sottobosco illegale e mafioso;

b – un mercato del lavoro che appare sempre più incentrato sul precariato a partire dalle piante organiche degli enti locali stessi, che in questo modo, invece di contrastare il fenomeno, lo usano massicciamente a fini clientelari, e allo stesso modo lo utilizzano in tutte le ‘partecipate’ profit e no profit che a vario titolo sono state create in questi anni, aggirando i vincoli di bilancio e spesso creando inutili doppioni e triploni;

c – la delocalizzazione sempre più massiccia delle imprese e la finanziarizzazione dell’economia con un doppio allontanamento: dall’economia reale e dal territorio locale. Fenomeno che da qualche tempo vede come protagoniste anche le coop, che in questo modo si vanno sempre più allontanando dalla loro funzione di ammortizzatori sociali e hanno anzi contribuito attivamente in questi anni alla diffusione del fenomeno del caporalato in alcuni settori produttivi e di servizi – attraverso le cosiddette cooperative ‘spurie’) -;

d – l’assalto ai beni comuni, che ha in Iren e in Hera i suoi capisaldi, e che consiste principalmente (ma non solo) nella  finanziarizzazione dei servizi e nella privatizzazione dell’acqua, in tandem con l’alta finanza italiana e internazionale;

e – la sostanziale privatizzazione, che spesso diventa ‘clericalizzazione’ (o ‘confessionalizzazione’), del welfare locale, che si estende dalla sanità al sociale, ai servizi per la fascia prescolare, alla scuola, etc. per giungere, più di recente,  alla creazione di nuovi carrozzoni tipo le ASP (Aziende di Servizi alle Persone), e ai più vari progetti di vera e propria dismissione di interi settori del welfare, che sono scaricati sulle spalle delle famiglie ed in particolare delle donne.

f – Il tutto all’interno di un quadro normativo degli EELL che, a partire dalla legge Bassanini e dalle altre norme per gli EELL tipiche della II Repubblica (ad es. quella che riguarda le ASP di cui sopra), dà amplissimo margine di manovra ai Sindaci e ai Presidenti nella definizione degli appalti, al di fuori di ogni controllo da parte delle opposizioni e della cittadinanza.

g – Il tutto all’interno di una società in rapidissima trasformazione che ha visto la regione, nell’arco di due sole generazioni, affrontare trasformazioni radicali – passaggio da una società prevalentemente agricola, a una società industriale e poi sempre più terziarizzata e multietnica – che in Inghilterra ed in Francia sono state affrontate grazie allo sforzo di sette od otto generazioni. I pericoli di anomia e di scollamento che sono insiti in questo rapidissimo mutamento (e che già hanno prodotto profondi smottamenti nel triveneto) cominciano a mostrare anche qui sinistri scricchiolii mano a mano che vengono meno – come abbiamo visto nei punti precedenti – le ragioni di fondo che erano all’origine del successo iniziale.

A nostro avviso il PD non è più in grado di ripristinare i valori del solidarismo e di quella che fu l’etica emiliana del lavoro che fece da volàno allo sviluppo: non lo è perché alla base del nuovo blocco sociale attualmente maggioritario ci sono i “principi” neoliberisti, disgreganti e distruttivi, cui accennavamo prima.

Da parte nostra ci proponiamo di contrapporre a questo grumo d’interessi le ragioni delle vecchie e nuove classi subalterne, dell’ecologia, del lavoro, del ripristino e dell’estensione delle tutele garantite dal welfare locale, che furono – e non sono più!! – uno dei più potenti ammortizzatori sociali che supportarono lo sviluppo e il benessere diffuso in Emilia e Romagna.

Ci proponiamo perciò, con una politica basata sui punti che seguono, di partecipare, insieme a tutte le forze d’alternativa presenti nel prossimo consiglio regionale e fuori di esso – all’interno dei movimenti e delle esperienze di cittadinanza attiva -, alla formazione di un nuovo blocco sociale, contrapposto a quello attualmente egemone.

Alcune idee (DIECI!) per un programma d’alternativa

1. Sposare un altro modello di vita e di economia, non più basato sul modello della cementificazione, del consumo indiscriminato di suolo e dello sviluppo edilizio a qualsiasi costo, ma sulla conversione ecologica, sulle rinnovabili, sugli indotti ad esse collegati, affidati ad aziende sane, trasparenti, libere da ogni vincolo con le mafie e con la finanza speculativa – conversione ecologica, rinnovabili e relativi indotti disposti in rete, secondo un rinnovato modello distrettuale, che facciano da volàno per una ripartenza generale. E sostenere a tal fine l’autentica economia cooperativa improntata ai valori del mutualismo – anche attraverso la valorizzazione delle esperienze di economia solidale già in essere -, come parte integrante del nuovo modello di economia regionale e non come ambito economico di ‘nicchia’ per pochi privilegiati.

2. No alle grandi opere, specie a quelle con più devastante impatto ambientale. No alle trivellazioni e a qualsiasi intervento traumatico per un territorio fragile come il nostro. Promozione in tempi certi e stabiliti di un piano vincolante di salvaguardia paesaggistica del territorio. Individuare le opere utili e prioritarie per la cura del territorio e delle città, per la riqualificazione e manutenzione ecologica dell’esistente – messa in sicurezza delle scuole, riqualificazione degli edifici pubblici secondo criteri antisismici e di risparmio energetico, promozione dell’housing sociale di qualità; manutenzione delle reti viarie, etc. -, per l’abbattimento delle barriere architettoniche e ambientali e lo sviluppo di progetti per città ad accessibilità universale e a misura di tutte/i. s Definire e realizzare azioni concrete ed incisive per l’abbattimento dell’inquinamento atmosferico, per lo sviluppo delle energie rinnovabili, per una mobilità “dolce” – a piedi e in bicicletta – e sostenibile – zone 30, trasporto pubblico, auto condivisa -, per una agricoltura pulita e di qualità, socialmente ed ecologicamente sostenibile. sAffido degli appalti, grandi e piccoli, secondo tempi certi e procedure che si basino sul débat public e su altre forme/strumenti di democrazia partecipativa.reperire in Italia e in EU le risorse per attuarle, e predisporre in sede locale procedure trasparenti per attuarle attraverso l’istituzione del ‘lavoro di cittadinanza’, affidato a giovani e meno giovani disoccupati.

3. Incentivare le aziende – e soprattutto le aziende che si muovono verso la conversione ecologica – che assumono a tempo indeterminato; e disincentivare le altre; soprattutto quelle che delocalizzano.

Creare all’uopo agenzie locali che presiedano – sempre nella logica del débat public e di strumenti di partecipazione/deliberazione di lavoratori e precari da creare ad hoc – alle politiche d’incentivazione e allo sviluppo di reti economiche locali e solidali finalizzate in particolare alla creazione di nuove imprese nelle quali la responsabilità sociale sia elemento fondante; e che promuovano modalità e strumenti innovativi di consulenza, informazione e formazione per la riallocazione, ricerca e creazione di nuove opportunità lavorative, piani sostenibili per start-up d’impresa e progetti di co-working.

4. s Ripubblicizzazione dell’acqua – attraverso la formula dell’azienda speciale e l’attivazione di organismi di gestione partecipativa – e ripubblicizzazione/riqualificazione di tutti i beni e ‘servizi’ comuni – ad es. ripubblicizzazione della gestione dei rifiuti, con rilancio della raccolta differenziata spinta porta a porta; riqualificazione del trasporto pubblico regionale nell’ambito di un piano sistemico di mobilità ecosostenibile -; simmediato licenziamento di tutti i board che attualmente dirigono le imprese speculative nate nel frattempo, e loro sostituzione in base a criteri di competenza sul piano produttivo e al loro orientamento improntato all’utilità sociale; s ritiro accorto da tutti gli investimenti speculativi, a partire da quelli effettuati fuori regione, e creazione anche qui di lavoro di cittadinanza, supportato dalla Regione e dagli altri EELL.

5. Sviluppare politiche e strumenti di inclusione per le persone ‘fragili’ e a rischio emarginazione       – anziani, disabili, malati, senza fissa dimora, disoccupati in età avanzata, giovani e famiglie senza reddito – attraverso l’istituzione di agenzie territoriali pubbliche per l’inclusione socio-professionale che, in rete con altre strutture e servizi di accompagnamento/sostegno, siano in grado di rispondere in modo articolato e integrato ai bisogni diversificati e complessi di una platea sempre più vasta di disoccupati, inoccupati, precari, vecchi e nuovi poveri a rischio di esclusione lavorativa, sociale, culturale.

6. Rilancio e sviluppo di politiche per un sistema di diritti e di welfare universalistico e per una vita degna per tutti (diritto al lavoro, al reddito di esistenza, a un tetto, al cibo, alla salute, all’istruzione e a una mobilità sostenibile) attraverso la ripubblicizzazione del welfare locale (sanità, assistenza, prescuola, scuola, etc.) e\o l’avvio di una politica di apertura ad un no profit che: – si basi sui bisogni reali ed attuali di cura e di tutela; – non si strutturi su base oligopolistica; – si basi sul tempo indeterminato e sulla parità di remunerazione a parità di lavoro; – definisca standard di qualità, omogenei e vincolanti, e meccanismi di controllo a cura del ‘pubblico’; – preveda e remuneri la formazione permanente del personale; – si doti, come dovrà accadere nei servizi pubblici, di strumenti di progettazione condivisa, partecipazione e controllo da parte dei cittadini per la salvaguardia della quantità e della qualità dei servizi

7- Ridefinizione dei rapporti con il privato profit – specialmente nella sanità – in base agli stessi criteri di cui sopra per quanto riguarda il personale, 1. a partire da accordi con rappresentanti dei cittadini che verifichino – luogo per luogo – la qualità dei servizi offerti; 2. graduando il sostegno al profit in base alle evidenze sociosanitarie attuali; e la sua remunerazione in base alle garanzie offerte – ospedale per ospedale, centro per centro – sul piano dell’efficacia dei servizi prestati.

8. Ridefinizione del rapporto con le Università e i Centri di ricerca, finalizzato alla definizione in ogni ambito di piani di conversione ecologica, di affinamento dei metodi di cura e di tutela; di salvaguardia del territorio. Sempre con tempi e scadenze certe; con spirito collaborativo; evitando doppioni.

9. s Sviluppo di programmi e azioni per assicurare a tutti il diritto all’istruzione, alla formazione e all’orientamento lungo tutto l’arco della vita e per contrastare la dispersione scolastica e il disagio giovanile crescente, intervenendo sui costi degli attuali servizi e creando nuove opportunità per chi rischia di rimanere escluso. s Promozione di politiche culturali prospettiche e di ampio respiro (da anni assenti in regione), di progetti e azioni che riconoscano i bisogni e i diritti culturali delle comunità nel loro insieme e promuovano nuove forme espressive e comunicative, democratiche e partecipative; sostegno a produzioni culturali diffuse e indipendenti, che si connettano alle realtà sociali del territorio e valorizzino le professionalità e i talenti esistenti. s Rilancio di politiche e progetti di sviluppo degli spazi di aggregazione e associazione (cultura, spazi di socialità giovanile e non solo, sport, polo per l’associazionismo, banda larga e connettività diffusa, promozione dei software open source, etc.), in un’ottica di partecipazione e autogestione.

10. Estensione dei diritti di cittadinanza – a partire dal diritto di voto – a tutti coloro che vivano ed operino stabilmente in Emilia Romagna; fissazione – ove sia possibile – di patti commerciali di reciproco vantaggio con i paesi d’origine dei cittadini immigrati. Sviluppo di politiche contro il razzismo, per il dialogo, l’accoglienza e la valorizzazione di ogni diversità, generazionale, geografica, culturale o di genere che sia. Promozione dei diritti civili, attraverso l’istituzione del Registro regionale dei testamenti biologici e del Registro regionale delle coppie di fatto e dei matrimoni gay.

Potrebbero interessarti anche...

3 risposte

  1. Vito Alo' ha detto:

    Interessante analisi di contesto (fine di un modello, tendenziale omologazione al modello neo-liberista imperante). Convincente visione progettuale (10 punti). Individuare meglio le “gambe” (soggetti sociali, culturali, politici) su cui far camminare le idee.
    (dibattito pubblico è meglio che “débat public”)
    Buona fortuna!

  2. giachetti giuliana ha detto:

    Documento appropriato.bisogna adesso allargare la base di consenso e partecipazione. Come si fa?

  3. admin ha detto:

    Vito, la locuzione “débat public” indica una procedura che in Francia si usa da tempo. E’ per questo che abbiamo preferito mantenere il ‘francesismo’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *