Partecipazione e rappresentazione

Dino Angelini

17.3.12

 

La divaricazione fra rappresentanti e cittadini cresce ormai a vista d’occhio sia a livello generale che locale. Siamo ad una svolta. Le fondamenta dell’attuale modello di democrazia rappresentativa sul quale sono stati costruiti gli stati, si rivelano giorno dopo giorno incapaci di reggere alle continue torsioni cui sono costrette dal capitale finanziario che ha bisogno di mano libera per potere scaricare il peso della crisi – di cui peraltro è responsabile – sui deboli.

Ed è per questo che dov’è possibile, e non appena è possibile – in barba agli orientamenti del corpo vivo della cittadinanza – le istituzioni statuali sono affidate a cani da guardia del capitale finanziario, che sono lì solo per piegare a Lor Signori leggi e costituzioni.

Ma anche a livello locale, almeno in Italia, dalla legge Bassanini in poi, i livelli di discrezionalità concessi dallo stato ai vari potentati che s’impadroniscono delle città e dei territori, di fatto si rivelano sempre meno capaci di una operatività razionale e programmata, sempre più permeabili al malaffare, e sempre più lontani dai cittadini.

Per non parlare dei luoghi di lavoro in cui i già ridotti livelli di democrazia faticosamente conquistati nei decenni scorsi sono spazzati via con protervia da un padronato che tende ad imitare la finanza nel tentativo di piegare a sé le leggi (Marchionne in questo è un maestro e un antesignano!) per scaricare ogni peso della crisi sui lavoratori.

Questo quadro, sostenuto da una informazione embedded che in un primo tempo nega tutto il possibile sui movimenti, e che usa una sistematica disinformatia quando il clamore delle lotte rompe il muro del silenzio, viene sempre più percepito da quote crescenti dei cittadini come marcescente.

Per cui, contro questo enorme apparato post-democratico transnazionale vanno nascendo un po’ dappertutto movimenti che, a fianco a motivi economici ed ecologici, pongono all’ordine del giorno il tema della democrazia.

Però nel momento in cui riemerge il tema della democrazia a mio avviso occorre stare attenti a non ridurre tutto alla pura e semplice rivendicazione di un ripristino del modello di democrazia rappresentativa preesistente alle lotte attuali.

Come ci ha insegnato Hannah Arendt, se i vari modelli di democrazia rappresentativa non sono vivificati dal dialogo continuo con la cittadinanza finiscono sempre per tradire i loro propositi iniziali, per quanto alti essi siano.

La Arendt nella sua analisi del rapporto fra democrazia e libertà si riferiva ai grandi momenti di rottura rivoluzionaria, partendo dall’analisi delle township (i consigli municipali delle 550 comunità americane ai tempi della rivoluzione), dei club della rivoluzione francese e della Comune, dei consigli e dei soviet, giù, giù fino all’analisi della rivolta ungherese del ’56 e delle istanze di auto-organizzazione del ’68\’69.

In tutti questi casi l’emergere di una istanza centrale che, a un certo punto, si è arrogata il diritto di istituzionalizzare il cambiamento ha coinciso con la messa fuori gioco della partecipazione attraverso la cancellazione o la devitalizzazione degli spazi pubblici da essa aperti.

Alla stessa conclusione giungiamo se concentriamo la nostra analisi su ciò che è accaduto nel microcosmo reggiano all’inizio degli anni ’70: da una parte i movimenti anti-istituzionali che si costituiscono in comitati (contro la suola di classe e per l’istituzione del tempo pieno, per la nascita dei nidi e delle materne, contro il manicomio, etc. etc.); dall’altra – “dopo” – la burocratizzazione della partecipazione, fino a rendere le istanze della partecipazione delle caricature di se stesse.

Oggi, nel momento in cui i vari movimenti qui, come dappertutto, tornano ad occupare lo spazio pubblico con la forza dell’azione, ma anche delle idee che la sorreggono, è bene non dimenticare che è dalle libere istanze di partecipazione (i comitati per l’acqua pubblica, le assemblee valsusine, le piazze di Occupy Wall Strett, quelle degli indignados e quelle del Magreb, etc) che può nascere un nuovo modello di democrazia rappresentativa, speriamo capace stavolta di convivere con la partecipazione senza imbalsamarla o ucciderla “dopo”.

Altrimenti anche la lotta della Fiom per la democrazia in fabbrica, se si limita alla richiesta del ripristino dei sistemi di democrazia rappresentativa che c’erano “prima”, rischia di infrangersi contro il muro di gomma della politica politicante che sul piano legislativo non fa altro che piegare l’attuale modello rappresentativo a giustificazione dei soprusi del potere costituito.

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