Ricordati di santificare le feste

Dino Angelini

13.11.12

Si dice che quest’anno per i giorni Natale e Santo Stefano a Reggio rimarranno aperti almeno due supermercati. E di questo passo si può esser certi che la prossima volta (a Pasqua?) “per simpatia” apriranno tutti.  Le addette sono arrabbiatissime, anche se non lo possono far vedere, altrimenti rischiano il posto. Alcune sperano nella Cassazione, che pare aver legiferato per la santificazione delle feste. Altre sembrano più rassegnate, ma in effetti schiumano rabbia, come le prime.

Le aziende del settore si sono ormai votate all’unico Dio che conoscono: il Dio Denaro, sul cui altare sacrificano tutto il resto. Ad un occhio distratto questo problema può apparire come una questione che riguarda le lavoratrici del settore ed i loro padroni. A guardare bene però non è così: il Dio Mammona, infatti, insieme al loro sacrificio, subdolamente chiede anche il nostro. Un orario flessibile chiama un altro. Una festa strappata a loro è un vulnus al calendario di noi tutti, che – dai oggi, dai domani – ormai è totalmente appiattito sulle esigenze del consumo.

Nella società preconsumistica il tempo calendariale era composto da un insieme di intervalli che si ripetevano ciclicamente, che comprendevano sia le feste religiose che quelle profane, e che consistevano essenzialmente in una serie di sequenze all’interno delle quali si svolgevano le attività quotidiane nell’attesa, sempre più spasmodica, della festa che chiudeva un ciclo e ne apriva un altro. Questa punteggiatura delle temporalità calendariale – che, non dimentichiamolo, è solo una delle tante dimensioni temporali – con la sua perpetua ciclicità rappresentava un importante contributo alla “stabilizzazione del mondo”, cioè alle esigenze degli uomini e dei gruppi sociali di dar senso alla propria esistenza.

Oggi però noi sappiamo che dopo Natale e Capodanno vengono i saldi, e dopo i saldi un altro trappolone consumistico, cui seguiranno altri saldi ed altri trappoloni. Uguali in tutto il mondo. Il che fa si che anche sul piano spaziale si assista come ad un levigamento, ad un peeling che smussa gli angoli e che rende uguali ed intercambiabili tutti i luoghi del mondo.

Assistiamo cioè, oltre che alla uccisione dei calendari, anche alla omologazione dei luoghi, che diventano dei non luoghi privi di ogni connotato culturale specifico. L’esempio degli aeroporti fatto da Augé viene a pennello: ora pieni di merci natalizie, fra un po’ di altre merci che, come quelle natalizie, sono uguali in tutto il mondo, e in tutto il mondo disposte allo stesso modo in identici store, immaginati e predisposti da tecnici del marketing omologati ed omologanti.

Per cui: no! Non si può circoscrivere la mancata santificazione del Natale, così come quella della domenica e delle altre feste “comandate”, ad una questione sindacale che oppone le “addette” ai loro datori di lavoro. Quegli attacchi ben prima che a loro, sono stati fatti a noi tutti, alle particolari scansioni dei nostri calendari, che così sono stati disarticolati e distrutti in tutto l’orbe terraqueo per far posto al Nuovo Kalendario Unico, che non è più composto di intervalli e di attese che conducano alla festa, ma sempre e solo di una granitica e bulimica propensione al consumo. Dove una ragione vale l’altra, ed ogni festa è solo una scusa.

In una società in rapidissima trasformazione, in cui i vecchi sistemi di “stabilizzazione del mondo” non valgono più, il consumo oggi è l’unico elemento che ci dà senso, o almeno che pretende di darci senso; che ci riempie letteralmente di senso, anche se questa propensione alla bulimia poi (nello spazio di un mattino, direi) genera nausea, vomiting e svariati tipi di evacuazioni con le quali stiamo ammorbando il pianeta. L’emblema di tutto ciò è l’angolo dei giochi dei nostri figli: strapieno di robe sempre uguali a se stesse, comperate in ogni momento dell’anno ed in ogni dove, che giacciono lì, inutili e ingombranti rimasugli del loro pasto consumistico.

Per cui nell’attesa dell’Avvento osiamo solidarizzare con le lavoratrici del commercio. Osiamo comprendere il loro silenzio rabbioso. E osiamo infine dire a noi stessi che la campana della festa che “non suona” per loro, prima ancora non suona per noi, poiché tutti siamo stati derubati della festa (e dell’attesa).

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