Firme per Tsipras

 

14.4.14

In poco più di 15 giorni sono state raccolte in Italia più di 220.000 firme per la presentazione della lista Tsipras alle europee in tutte le cinque circoscrizioni nazionali. Un’impresa non facile, ma necessaria per porsi in discontinuità rispetto non al popolo che vota a sinistra, ma a quella parte un po’ sclerotica della vecchia mini-nomenklatura di sinistra che ci ha portato alla sconfitta un anno fa. Avremmo infatti potuto fare a meno di raccogliere le firme appoggiandoci a SEL che è già presente in Europa, ma per questa strada si rischiava di iterare vecchie liti e soliti malintesi.

Erano stati assegnati dei “traguardi” provinciali, il raggiungimento dei quali era decisivo per oltrepassare la fatidica cifra delle 150.000 firme necessarie per potere presentare le liste dappertutto. A Reggio Emilia dovevamo raccoglierne 1.600. Ne abbiamo rastrellate oltre 2.200. Un’impresa colossale, se si tiene conto del fatto che – specie all’inizio – nessuno sapeva nulla di questa lista. Ma l’impresa più difficile era quella dei nostri compagni valdostani che, in base ad una legge assurda (inventata, pare, dal solito Calderoli), ne dovevano raccogliere 3.000, su di una popolazione di poco più di 30.000 cittadini votanti. Pena la scomparsa della lista dal nord-Ovest, con la concreta possibilità di non farcela a livello nazionale. Ed anche lì siamo arrivati a 3.800 firme. Insomma ce l’abbiamo fatta!

Ho firmato in questi anni per molte iniziative referendarie e non. Ma era da moltissimo tempo che non raccoglievo firme. E precisamente dalla campagna per l’aborto che a Reggio vide attivo un “Collettivo del Sanità” di cui facevo parte. Raccogliemmo 2.000 firme, nonostante l’ostilità del PCI. Ed anche quella fu un’esperienza esaltante: quando si è minoranza ci si accontenta di poco. Non ho partecipato a quella dell’autunno 2012 sul lavoro – scippataci poi da Napisan – solo perché ero malato, per cui non so fare paragoni. Ma ciò di cui voglio testimoniare con questo mio post è quello che ho visto ai tavoli ai quali ho partecipato nei giorni scorsi.

Il dato più evidente, ovviamente, è quello dei tantissimi che non hanno firmato. Si va dai più anziani, che spesso – nonostante il rifiuto di firmare – si fermavano ad ascoltare le nostre ragioni, ai più giovani che mantenevano lo sguardo “dritto”, rifiutando qualsiasi dialogo. Questi ultimi sono diventati subito riconoscibili perché – forse loro non se ne rendono conto – ma hanno come una divisa: quella dei vestiti firmati, che a volte adornano volti rifatti e corpi scolpiti. Dai meridionali che, con una sola voce, ci dicevano che non avrebbero più firmato in vita loro perché  una volta “una firma li aveva rovinati”; ai signori di destra fieri del loro sentire contrario al nostro.

Ma i più “pittoreschi” – non so come definirli diversamente senza offenderli – erano i piddì (non tutti i piddì, sia chiaro: ci sono stati anche quelli che hanno firmato) che si arrabbiavano tantissimo perché noi secondo loro facciamo il gioco di Berlusconi. Hai voglia a dire che loro con Berlusconi stanno demolendo la Costituzione! Si arrabbiavano ancora di più e, messi alle strette, tornavano a Bertinotti. Mai alle più recenti corbellerie di Veltroni.

E veniamo a chi firmava. Parto dalle firme che mi hanno più colpito: un neocittadino di origini arabe ha firmato, ma ha aggiunto “Ragàss! [proprio così] Ragàss! Qui facciamo le manifestazioni; giriamo con le bandiere per mezza giornata, e poi andiamo a casa. Non è serio: noi arabi quando scendiamo in piazza ci rimaniamo finché non vanno giù i governi!”. Un’anziana signora del 1925, comunista, che ha firmato non appena ha capito ciò che ci proponevano di fare con la sua firma. Molti esodati e disoccupati. Molti grillini. Molti operai, parte dei quali ci chiedevano di andare a raccogliere le firme nelle loro aziende, o addirittura di portare con sé i fogli da fare firmare.

Ma pochi giovani. Ho raccolto le firme di fronte ai supermercati, e forse questo ha inciso sulla mia percezione. Quelli che ho visto però mi sono sembrati senza divisa e senza lavoro. Oppure distrutti da lavori defatiganti, precari, e perciò senza prospettive. Insomma l’opposto dei giovani tappatissimi cui accennavo prima.

I più antipatici: quelli in grisaglie! E quelle o con i tailleur d’ordinanza! Lì il berlusconismo ha lavorato a fondo, scavando nelle loro menti tunnel fantasmagorici all’interno dei quali a loro pare di essere come dei nababbi destinati ad avere sempre tutto. O, meglio, tutto ciò che il mercato proporrà loro come segno di status. Un tunnel lunghissimo alla fine del quale, lontanissima, c’è una vecchiaia contro la quale hanno già ingaggiato – come il loro leader, e come mostrano i loro volti e i loro corpi – lotte furibonde.

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