Neoclericali di casa nostra

 

11.4.15

Le riflessioni sulla laicità di Stefano Rodotà partono dall’amara constatazione del fatto che nell’agorà democratica è difficile dialogare con un’interlocutrice – la chiesa cattolica – che afferma di essere depositaria di valori non negoziabili. Ciononostante, secondo Rodotà, non si può relegare il cattolicesimo in sacrestia, come vorrebbero i laicisti; e tantomeno proporre la laicità come un valore di risulta, che trovi la sua ragion d’essere nella mera opposizione a questa pretesa clericale di non negoziabilità.

Semmai l’unica cosa non negoziabile in una società democratica è la libertà (compresa la libertà del singolo parlamentare dai vincoli di mandato), che però non può attuarsi a detrimento della libertà altrui. Come purtroppo avviene da lungo tempo in Italia su quei temi sensibili che i clericali tendono ad affrontare imponendo i propri valori a tutti i cittadini, anche quando questi valori tendono a conculcare i valori e la libertà degli altri.

Una delle leve fondamentali che ha permesso alla nostra civiltà di svilupparsi è – come dice Severino – nello scarto che i greci riscontarono fra “sofia” e “filo-sofia”, fra Verità con la V maiuscola, e ricerca della verità, cioè pensiero libero da ogni Verità rivelata.

La tolleranza o meno di questo scarto, da parte della chiesa e delle pubbliche istituzioni ad essa collegate, nelle varie forme di società che poi si sono dipanate lungo i sentieri della storia ha poi segnato in occidente i percorsi della libertà e della tirannide. E non sempre la religione è stata l’oppio dei popoli, come vorrebbero i laicisti e com’era sicuramente ai tempi di Marx.

Ed anzi possiamo dire che tutte le volte che il cristianesimo è riuscito ad anteporre il messaggio evangelico alla sorda voce dell’imperio sia stato portatore di un messaggio di liberazione per i singoli e per i popoli. Pensiamo ad esempio al messaggio di San Francesco, non a caso oggi ripreso dal nuovo Papa. Alla Riforma, ed al messaggio di libertà e di lotta alla corruzione di cui essa, pur nei limiti imposti dalla storia, fu portatrice. Eccetera. Nel mezzo poi c’è stata sempre una comunità di credenti che a volte si dirige unitariamente nell’una o nell’altra direzione. Più spesso è apparsa come compartimentata in tante sotto-comunità in cui prevaleva l’una o l’altra voce, o un mix specifico dell’una e dell’altra.

Le stesse divaricazioni si ritrovano a cascata, oggi come ieri, nei vari microcosmi locali e, nel nostro caso, nel microcosmo reggiano. Dove da una parte abbiamo una comunità cattolica di fedeli impregnata da lungo tempo di clericalismo, dall’altra un’ecclesia portatrice di valori laici. E nel mezzo un insieme di comunità di base, o di consorterie, o di veri e propri centri di potere, accomunati spesso solo dal fatto di nascere sotto il segno del cattolicesimo.

Lo abbiamo visto nella Resistenza. E, dopo la liberazione, nei diversi stili e soprattutto nei diversi contenuti che hanno segnato la partecipazione dei cattolici alla vita locale. Per rendersene conto basti pensare al Vescovo Socche, a Medici, a Bonferroni, a Comunione e Liberazione, etc. da una parte; ed a Corghi o a Dossetti (non ai dossettiani, come vedremo fra un po’!), al gruppo Cristiani a Confronto, alle tante comunità di base etc., dall’altra. E in mezzo i vecchi e i nuovi fedeli, distribuiti anche qui come nel resto d’Italia.

Gli interlocutori laici e comunisti per tutta la durata della I Repubblica hanno trattato qui con rispetto questo insieme di cattolici, nonostante la componente più reazionaria di questi ultimi li abbia discriminati, qui più che altrove, come ci ricorda lo storico Guido Crainz. Lo hanno fatto cercando di coinvolgerli, quando era possibile, in qualità di opposizione responsabile – potremmo dire – nelle scelte di fondo delle amministrazioni locali; e non ostacolando mai nei concorsi e negli appalti coloro che fra i cattolici si mostravano meritevoli. Mantenendo però integro e autonomo quel grande alveo di consenso sul quale si fondava qui la loro egemonia.

Ma agli esordi della II repubblica, di fronte al pericolo rappresentato dal berlusconismo arrembante e al contemporaneo venir meno degli alleati storici (i socialisti), si è verificata un’apertura nei confronti dei cattolici che ha segnato una rottura con tutta la storia precedente, e che ha visto ancora una volta Reggio protagonista del cambiamento.

Apertura che ha visto come artefice Antonella Spaggiari; e che, in perfetto stile da II repubblica, si è incentrata intorno ad un patto non scritto e  -direi- sotto molti punti di vista segreto con i dossettiani. Un patto i cui vettori sono oggi perfettamente ritracciabili in ciò che le amministrazioni hanno fatto (o non hanno fatto) a Reggio, e poi in Regione; per giungere infine, a partire dal giro in pullman di Prodi, anche a livello nazionale.

Un patto però che già da subito appariva chiaro in alcuni punti, fra i quali spiccava l’abbandono del modello (laico) di welfare che allora il mondo c’invidiava: fatto a brani e ceduto al privato sociale cattolico, in cambio del mantenimento degli ex-Pci al governo locale e della entrata degli ex-DC nelle stanze del governo locale.

Operazione resa possibile  grazie alla adialetticità della Bolognina ed al fatto che in quella occasione oltre l’acqua sporca del burocratismo “picciista” fu gettato via il bambino che c’era dentro, rappresentato dal modello comunista, emiliano e reggiano di welfare. Operazione che significativamente qui a Reggio vide una donna fra i protagonisti di questo attentato perpetrato, in nome della realpolitik, ai danni della comunità tutta. Ma soprattutto delle donne.

Poi con l’obliqua OPA prodiana sul PDS comincia un epoca che vede sempre più i cattolici democratici emergere e prevalere. La ragione è che essi, molto più che gli ex-PCI, hanno fin dall’inizio idee precise sul tipo di società che desiderano; e soprattutto si muovono sempre come una comunità che marcia unita, e agisce con molto senso tattico, non bruciando mai i propri adepti, ma anzi studiando sempre in precedenza su dove e come piazzarli nei vari gangli del potere.

Questi neoclericali, capitanati a Reggio da Delrio, si definiscono dossettiani, ma con Dossetti non hanno alcuna somiglianza, a partire dalle loro spinte sfacciatamente iconoclaste nei confronti della Costituzione. Semmai sono prodiani: nel senso che in economia sono moderatamente neoliberisti.

Propugnano la privatizzazione del welfare, ma tendono al allocarlo nel privato sociale. Profit o no profit a seconda del tasso ci composizione organica del capitale occorrente per riciclarlo. Ma sempre brevi manu, grazie alla legge Bassanini che permette di schivare le procedure che, almeno formalmente, richiederebbe una selezione di merito, ed ampliare l’area dei clientes di riferimento. Prodiani di destra, mi verrebbe da dire: cioè senza quello slancio che è sempre presente nel pensiero di Prodi.

Sono per la privatizzazione e l’aziendalizzazione dei beni comuni, ma più che ad una ricollocazione nel libero mercato pensano ad una dirigenza amica: anche se non all’altezza, o peggio. Hanno ereditato (dalla Zarina, come ci ricorda il nostro Direttore) un modello espansivo basato sulla cementificazione delle città, ma si sono ben guardati dall’abbandonarlo, o dal mondarlo dalle sinistre incrostazioni che lo caratterizzava.

Ed ora infine stanno per portare a termine quel progetto che era stato costruito (qui a Reggio!!) e circoscritto all’Intesa con le materne cattoliche. Ma che oggi si espande e giunge alla richiesta centrale del finanziamento alle scuole private, che vede come protagonista la reggiana Vanna Iori: cioè proprio colei che la Spaggiari aveva voluto a capo di quel Centro per le Famiglie che nelle intenzioni della Zarina doveva  diventare il centro di elaborazione di un discorso laico sulla famiglia, capace di fare da contraltare alle sostanziose cessioni che nel frattempo le sua amministrazione andava facendo ai clericali locali.

In contemporanea, con l’affossamento della Costituzione e con il conseguente drastico restringimento dell’area democratica, siamo arrivati ad una più generale resa dei conti, che è anche un attentato a quei valori della laicità, da Rodotà giustamente posti in stretta connessione con i valori della libertà e della democrazia, come dicevamo all’inizio.

Il fatto che alla Camera, insieme alla Iori ieri – 10 Marzo 15 – abbiano votato Paolo Gandolfi, Antonella Incerti e Maino Marchi la dice lunga sulla natura del pensiero che ormai occupa gli ex-PDS.

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