Relazione del CUB del CIM di Reggio Emilia agli studenti milanesi di Medicina

Relazione del CUB del Centro di Igiene Mentale (CIM) di Reggio Emilia agli studenti di Medicina della Statale di Milano

(Autunno – Inverno 1972\73)

Il CUB del CIM di Reggio Emilia

Per comprendere le problematiche presenti nel CUB del CIM di R.E. occorre partire da alcune considerazioni  nel CIM di R.E.:

Il centro nasce nel ‘69/’70 in un contesto che aveva visto in precedenza (nel ’68) molti giovani intellettuali, per lo più iscritti nel PCI, che avevano svolto un lavoro politico nei confronti di alcune istituzioni dello stato borghese: soprattutto la scuola dell’obbligo e il manicomio.

Questo lavoro politico era stato caratterizzato dall’autonomia nei confronti delle istituzioni naturalmente, ma anche nei confronti del PCI, ed anzi in certi momenti era entrato in un contrasto abbastanza duro con il PCI. Però questa relativa autonomia era strettamente circoscritta alle problematiche presenti nella scuola dell’obbligo e nel manicomio e non si estendeva mai alla politica complessiva del PCI, per cui accadde che in un primo tempo il PCI tollerò le istanze che questi giovani intellettuali ponevano; in un secondo tempo si mosse per inglobare ed istituzionalizzare queste istanze.

Così la lotta antistituzionale, cominciata nel ’68 autonomamente e quasi in sordina in una città come Reggio dove giungevano solo gli echi lontani di ciò che stava accadendo in altre parti di Italia e del mondo, questa lotta antistituzionale fu istituzionalizzata essa stessa: nacque il CIM, nacquero ed ebbero grande espansione (laddove esistevano prima solo …)i servizi sociali dell’Ente locale democratico.

Il Cim nacque dall’innesto di queste istanze locali non istituzionalizzate con altre istanze portate avanti da medici venuti da varie facoltà italiane che in precedenza avevano avuto contatti ed erano stati attratti e conquistati dal modo di lavorare dei “goriziani”.

Ora, guardando alle posizioni dei goriziani, accanto agli aspetti estremamente positivi e di rottura presenti al loro interno è possibile cogliere, alla luce anche degli sviluppi successivi del loro operato, alcuni limiti che sono simili a quelli che abbiamo visto aver presenti all’interno del gruppo di intellettuali reggiani di cui si parlava prima. Cioè il mancato collegamento fra la funzione specifica del manicomio e la funzione generale dello Stato borghese. Ciò ha come conseguenza di credere che sia possibile agire all’interno dell’istituzione per trasformarla e renderla disfunzionale alla società attuale.

E, per quanto riguarda gli “estremisti”, cioè i fautori del CIM, di presentare le organizzazioni psichiatriche “alternative” come contrapposte alla funzione classista del manicomio, i cui criteri di funzionalità sono peraltro correttamente interpretati. Anche quella dei goriziani era quindi una istanza critica parziale che si prestava perciò ad essere inglobata all’interno di una prospettiva riformista.

L’istituzionalizzazione di queste istanze viene però mistificata.

Si mistificano i contenuti: di fatto si fa un servizio sociale più avanzato sul piano dell’assistenza, rispetto al momento, e con compiti di prevenzione, ma non si vuole riconoscere di essere un servizio sociale, di avere una istituzione e si agisce in una logica di scontro frontale col manicomio, come una sorta di partito antipsichiatrico italiano con un programma massimalista ed irrealizzabile all’interno della società capitalistica, che partendo giusta posizione di critica nei confronti della logica custodialistica e carceraria della “cura” manicomiale, giunge a sottovalutare in assoluto il momento della cura ed a usare velleitariamente ogni soluzione assistenziale che preveda la nascita di momenti di cura specifici che non siano la visita domiciliare o l’ambulatorio di gruppo.

Si mistificano anche e conseguentemente i rapporti all’interno delle équipe di lavoro: il discorso sessantottesco della negazione del ruolo è vero in certa misura contribuisce a creare un personale più in grado di discutere, criticare il proprio lavoro e porsi in generale in termini dialettici nei confronti del lavoro interno, ma, scisso com’è da un discorso di classe che distingua le varie stratificazioni presenti fra i lavoratori del servizio, serve anche a coprire le reali divisioni di cultura, di classe presenti nell’équipe (medici, laureati non medici, diplomati, infermieri etc.).

Questa copertura, questa mistificazione ha molteplici ragioni:

  • Prima di tutto è funzionale ed è il prodotto diretto del modo di importare il lavoro di cui si parlava prima (il partito antipsichiatrico italiano);
  • In secondo luogo serve a gratificare il personale non medico, soprattutto gli infermieri, i quali all’interno del CIM sono sottoposti ad un lavoro per molti versi più duro e certamente più implicante di quello svolto in manicomio, con uno stipendio più basso, nell’insicurezza del posto di lavoro, etc.

In questo clima e con questi precedenti nasce il CUB. L’occasione è data da una discussione molto accesa avvenuta all’interno del CIM fra settore infantile ed il settore adulti del CIM stesso.

Da parte dell’infanzia si ponevano sostanzialmente alcune istanze “riformiste” (e come tali furono tacciate): si tendeva cioè a proporre alcuni momenti assistenziali esterni al manicomio in cui seguire, curare, riabilitare, socializzare i bambini ed i ragazzi handicappati presenti in manicomio, cioè in definitiva si proponeva di gestire in maniera un po’ più corrispondente ai bisogni immediati proletari la assistenza. Contemporaneamente si criticava il velleitarismo del settore adulti, soprattutto sul piano dell’assistenza.

Un brutto documento dell’infanzia con accuse gratuite, il nascere di personalismi fra medici fecero si che il dibattito degenerasse e si concludesse con una netta chiusura da parte sia dell’Ente Provincia, intervenuto nella diatriba, sia di tutto il settore adulti del Cim.

La discussione continuò nei mesi successivi, in un clima di repressione e di integralistiche richieste di allineamento sulle posizioni risultate vincenti.

Fu così che, come difesa del patto di lavoro (si tenga presente che tuttavia la maggior parte dei dipendenti del Cim è avventizia assunta con delibera che si rinnova di tre mesi in tre mesi), per riprendere in termini più corretti il discorso “riformista” di cui si è detto sopra e  per trovare un momento autonomo in cui discutere del significato e delle prospettive del nostro lavoro e della maniera più corretta per cercare di affrontare i problemi sindacali e politici posti all’interno del Cim ed in critica al collaborazionismo sindacale presente, oltre che nel Cim, anche in tutto l’Ente Provincia, si formò il CUB.

L’impegno prioritario iniziale, che continua tuttora, fu che nel pieno della demistificazione della reale natura del Cim e più in generale dei servizi sociali dell’Ente Locale.

Si partiva e si parte dalla premessa che l’organizzazione della Psichiatria in Italia, come in tutti i paesi capitalistici, avviene sotto la forma di istituzioni dello stato borghese.

Ciò significa, si diceva, che tutte le organizzazioni psichiatriche sono servizi sociali, che in quanto tali servono al mantenimento della società attuale.

Tutte le organizzazioni psichiatriche servono cioè contemporaneamente come unità di conservazione e di riproduzione degli individui e della loro capacità lavorativa, come unità di  produzione e di trasmissione di ideologie, come unità di amministrazione e/o di coercizione della classe dominante.

Quindi una analisi di queste, come di tutte le altre istituzioni, va inquadrata nell’analisi globale della funzione dello Stato nella società capitalistica, e nello specifico di Reggio Emilia, nella funzione dei momenti decentrati di questo stato, gestite dai revisionisti.

Il non riconoscimento da parte dei revisionisti della natura classista dello stato e quindi delle sue singole istituzioni, porta i revisionisti a considerare tali istituzioni come neutre ed utilizzabili dalla borghesia o dai lavoratori a seconda di chi attraverso l’uso della democrazia parlamentare, ai vari livelli, soprattutto a livello locale, riesce ad influenzarle e ad indirizzarne le scelte di fondo.

La conseguenza di questo discorso è la cogestione: i lavoratori sono chiamati a gestire assieme ai rappresentanti delle strutture decentrate dello Stato, insieme cioè all’Ente locale democratico, le istituzioni affinché queste diventino strutture sempre più rispondenti ai loro interessi e bisogni.

Con ciò si inducono i proletari a credere di avere un potere che in realtà è illusorio e non si ottengono assolutamente dei servizi a loro favore, ma al contrario il loro coinvolgimento, il loro consenso, la loro corresponsabilizzazione attorno agli interessi ed ai bisogni della classe dominante. E questo significa coprire le contraddizioni ed impedire che esse appaiano agli occhi degli sfruttati come il prodotto dell’inconciliabile antagonismo degli interessi di classe e quindi della loro insolubilità all’interno della società attuale.

Il compito dei tecnici, all’interno di una prospettiva di questo genere è quello di convalidare questa linea di cogestione, di partecipazione, di coinvolgimento.

Ma se noi guardassimo all’EL democratico solo da questo punto di vista ci chiuderemmo in una posizione purista e nullista. Il fatto è che esiste un modo di porsi il problema delle riforme sociali che è proprio dei revisionisti e che ha al fondo questa ideologia. Ma esiste anche un modo rivoluzionario di porsi nei confronti delle riforme sociali: qualora infatti si parta dall’individuazione dei bisogni proletari immediati si può e ci si deve porre il problema della risposta a questi bisogni: l’insieme di queste risposte parziali, insufficienti, ma necessarie, affinché i livelli materiali di vita  dei proletari non siano continuamente ributtati indietro dalla borghesia, è il modo rivoluzionario di porre le riforme sociali.

Questo è quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo all’interno del CIM e dell’EL rosso. E’ chiaro che ciò è insufficiente in quanto che nella mancanza di un polo di riferimento complessivo tutte le proposte di riforma miranti ad alleviare le condizioni di disagio e di sofferenza delle masse proletarie sono inglobabili ed inglobate di fatto in una logica diversa e cogestita, ma ciò non giustifica posizioni nulliste e puriste, semmai deve spronare i compagni e porsi compiti di militanza non parziale, non circoscritta allo specifico EL, ma complessiva.

Così impostato il problema delle riforme ne consegue l’importanza di una risposta al bisogno che si esprima prima di tutto in termini di livelli più avanzati di assistenza in maniera da diminuire le condizioni di oppressione delle masse proletarie, e di un discorso di prevenzione che sia dialetticamente legato al momento assistenziale, così reimpostato e che si esprima come si diceva prima nella lotta delle masse per la difesa dei primi livelli materiali di vita che derivava dalla coscienza di ottenere una risposta ai propri bisogni di fondo non nella cogestione della miseria esistente, ma nella lotta per una nuova società.

Anche le nostre battaglie sindacali, andando nel senso di rendere meno gravoso per i lavoratori il servizio e di cercare delle alleanze con gli altri lavoratori, ed in primo luogo con la classe operaia, contro il carovita e per le riforme, non contraddicono, ma anzi confermano, quanto sopra detto a livello di politica di settore.

  1. Il Cim come istituzione

L’organizzazione della psichiatria in Italia, come in tutti i paesi capitalistici, avviene sotto la forma di istituzioni dell’Ente Assistenziale ‘Stato’.

Ciò significa che tutte le organizzazioni psichiatriche sono servizi sociali che in quanto tali servono al mantenimento della società attuale.

Tutte le organizzazioni psichiatriche servono cioè contemporaneamente:

    – come unità di conservazione e di riproduzione degli individui e della loro capacità lavorativa;

    – come unità di produzione e di trasmissione di ideologie;

    – come unità di amministrazione e di coercizione della classe dominante.

Quindi una analisi di queste, come di tutte le altre istituzioni, va inquadrata nell’analisi globale della funzione dello Stato nella società capitalistica.

Engels: ”Lo stato è … un prodotto della società giunta ad un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una confessione insolubile con sé stessa che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente ad eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stesse e la società in una sterile lotta sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’”ordine” e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa è lo Stato.”

Critica alle posizioni dei goriziani: il mancato collegamento fra la funzione specifica del manicomio e la funzione generale dello Stato ha come conseguenza di:

  – (critica ai CIM) presentare le organizzazioni psichiatriche “alternative” come contrapposte alla funzione classista del manicomio (i cui criteri di funzionalità erano peraltro correttamente interpretati);

– (critica a Basaglia e Pirella) credere che sia possibile agire all’interno dell’istituzione per trasformarla e renderla disfunzionale alla società attuale;

  –  (critica a entrambe le posizioni) e con ciò indurre alla ideologia di fatto riformista che porta ad importare la lotta contro le istituzioni dello Stato nei termini di una battaglia tutta interna alle singole istituzioni che ha come risultato di fatto la loro trasformazione si, ma in termini di riforma e di adattamento alle esigenze di sviluppo della società borghese stessa.

Critica alle posizioni revisioniste: il non riconoscimento della natura classista dello Stato e quindi delle sue singole istituzioni porta a considerare tali istituzioni come neutre ed utilizzabili dalla borghesia o dai lavoratori a seconda di chi attraverso l’uso della democrazia parlamentare – ai vari livelli – riesce ad influenzarle ed ad indirizzarne le scelte di fondo.

Conseguenze nel campo della psichiatria: Cogestione. I lavoratori sono chiamati a gestire assieme ai rappresentanti delle strutture decentrate dello Stato (Ente locale), le istituzioni affinché queste diventino strutture sempre più rispondenti ai loro interessi e bisogni.

Con ciò si inducono i proletari a credere di avere un potere che in realtà è illusorio e non si ottengono assolutamente dei servizi a loro favore, ma al contrario il loro coinvolgimento, il loro consenso, la loro corresponsabilizzazione intorno agli interessi ed ai bisogni della classe dominante.

E questo significa anche coprire le contraddizioni ed impedire che esse appaiano agli occhi degli sfruttati come il prodotto dell’inconciliabile antagonismo degli interessi di classe e quindi della loro insolubilità all’interno della società attuale.

Le istituzioni psichiatriche, come tutte le altre istituzioni, non fecero parte della sfera della produzione, ma di quella del consumo, “vale a dire che nel loro seno si ha un processo di consumo che non ha il suo fine nella produzione di merce, ma nel mettere gli individui in grado di rinnovare i loro rapporti economici, politici ed ideologici”.

Cioè, mentre i lavoratori inseriti nel processo di produzione sono produttivi (ovviamente per il capitale), i lavoratori inseriti nelle istituzioni sono improduttivi.

Nota bene: quando si dice “improduttivi” non si dà una valutazione moralistica, ma si riconosce che questi lavoratori, pur svolgendo un lavoro necessario a questa società, vanno considerati come “unità di consumo” in quanto che il loro lavoro non dà luogo a plusvalore.

Comitato Unitario di Base (CUB)

del Centro d’Igiene Mentale di Reggio Emilia

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