Genitori, bambini, territorio (Aut.\Inv. 1984)

 L’articolo che segue, del grande maestro reggiano Romano Valeriani, é apparso nel 1984 su “Pollicino. Bambini e società in Emilia e Romagna” La sua severa critica del modello di partecipazione allora vigente nei Comitati di Gestione delle Scuole Comunali dell’Infanzia nasceva dall’esperienza di genitore impegnato nel comitato di Gestione del “Diana”.

– Colpiscono, in un momento in cui il Comune di Reggio Emilia si appresta a rilanciare a freddo un processo di partecipazione top-down (le Consulte Territoriali), le parole iniziali dell’articolo di Romano Valeriani: “…. dall’istituzione ci si può aspettare professionalità sempre maggiore, capacità di proiettare all’esterno un’immagine di grande efficienza, attenzione al recepimento di tecniche – nonché di sperimentarne nuove, ma … se l’occhio salta il muro… il muro del tutto va bene nella migliore città possibile… ci si trova a fare i conti con l’altra faccia dello efficientismo, vale a dire con l‘incapacità di coinvolgimento a fondo di genitori e cittadini in un processo di crescita assieme …”.

Colpisce altresì lo spirito propositivo che, nonostante tutto, traspare dalla documentazione allegata: l’opzione per una reale democrazia partercipativa, che tutto può essere tranne che una concessione calata dall’alto. (Dino Angelini)

Genitori, bambini, territorio

di Romano Valeriani

[da: Pollicino. Bambini e società in Emilia e Romagna, Autunno – Inverno 1984, pp. 77 \ 81]

Quasi due anni di esperienza nel comitato di gestione della Scuola Comunale dell’Infanzia “Diana” mi hanno convinto: dall’istituzione ci si può aspettare professionalità sempre maggiore, capacità di proiettare all’esterno un’immagine di grande efficienza, attenzione al recepimento di tecniche – nonché di sperimentarne nuove, ma … se l’occhio salta il muro… il muro del tutto va bene nella migliore città possibile… ci si trova a fare i conti con l’altra faccia dello efficientismo, vale a dire con l‘incapacità di coinvolgimento a fondo di genitori e cittadini in un processo di crescita assieme, nel farsi sul campo una competenza che non si può importare od esportare, l’unica possibile con quei genitori lì, coi bagagli loro (non tutti inutili), che se non fanno passi avanti ora perderanno il treno (nido-materna-elem-media-sup.-univ. ad libitum, rientro nella scuola per un nuovo giro), il treno su cui è destinato a viaggiare il proprio figlio.

La ricerca che mi decido a passare al giornale è frutto della collaborazione di un piccolissimo gruppo formatosi all’interno della commissione B (Ambiente) del Diana: il tema è stato approvato in una riunione allargata, in tre abbiamo lavorato un paio di mesi, la commissione nell’anno 82-83 non si è più riunita. C’erano tante cose da fare… feste, aprili o maggi pedagogici, le scadenze e gli appuntamenti a cui non si può mancare (selezione, studio utenza, festa di chiusura etc.)… quest’anno poi ci siamo ritrovati da capo, prima per formare il nuovo comitato, poi per la festa di Natale, poi l’insediamento del Comitato, poi la lotteria, poi la mostra… ed eccoci di nuovo divisi in due commissioni… ed in sotto commissioni. Eccoci di nuovo di fronte al dispiegamento delle forze: da una parte quelle agguerrite a sempre pronte a proposte precise, a richieste di coinvolgimento per progetti pre-fabbricati, pensati, calibrati e perché no, destinati al successo… dall’altra i genitori, quelli sempre disponibili alla manovalanza, quelli che vorrebbero sempre discutere dei massimi sistemi, quelli che vengono una volta e poi ne hanno abbastanza, quelli che aspettano l’inizio del discorso, dall’inizio, appunto. L’armata Brancaleone. Invero di cose se ne sono tentate: incontri tra bambini e genitori in casa di chi invitava, appuntamenti per giocare assieme nei parchi, piccole visite, alcune gite, giornate di presenza a scuola, corsi autogestiti di nuoto, serate di gioco tra adulti… micro iniziative. Ma l’unico progetto sul quale lavorare, unico finché non ne verranno altri naturalmente, quello che qui si propone, per quanto stampato a cura delle scuole in varie copie, e da qualcuno anche letto, non è mai stato discusso collettivamente. Ci sono tante cose da fare.

Perché non vi organizzate da voi? ci è stato detto. Ma un’impresa di questo genere – se vuole sperare in un minimo di continuità, non può prescindere da una preliminare approvazione di tutta l’istituzione.

Ciò non pregiudica assolutamente la totale autonomia dell’esperienza.

Si tratta di creare occasioni interne ed esterne alla scuola nelle quali adulti non addetti per professione ai lavori possano sperimentarsi nel rapporto con gruppi di bambini – non solo quelli divisi per età, censo, “normalità” – vedersi e confrontarsi tra loro, saltare il muro dei luoghi preposti, uscire dalle trappole dei condomini, sentire e reagire alle tendenze generali che vogliono l’“utenza” – che brutta parola – più isolata che mai proprio anche attraverso l’apertura della forbice tra chi sa e chi sa solo approvare l’operato altrui. Si, la mistificazione sulla inevitabile “liberazione” attraverso l’educazione (specie se moderna, affinata, efficace) passa vicina alla cittadella delle tecniche tipo export.

L’imporre una legittimità alla esperienza dei giovanissimi nel contesto sociale tout-court, avvicinandoli agli adulti, attraverso momenti di contatto esistenziale ora sempre meno fra utenti, va persino oltre la pretesa di lavorare “sui genitori” caratteristica delle scuole europee più avanzate, tipo le poche di origine psicoanalitica o comunque tendenti alla “prevenzione” nei punti caldi del nostro mittel-modo di vita con standardizzato mittel-modo d’alimentazione. Le vecchie rappresentanze storiche dei genitori e dei cittadini hanno fatto il loro tempo (si batterono per imporre il servizio, furono eroiche e romantiche nel puntare su una scuola con valori alternativi a quelli confessionali) e i nuovi modi d’elezione dei comitati sono indice di questa tendenza a chiudere col passato (si è eletti nel cerchio di ogni sezione, non più in assemblea), si spegne la polemica tra Camillo e Peppone, ma non si capisce chi dovrà essere protagonista del passo successivo.

C’è un arroccamento dei tecnici dell’educazione, una sfiducia nelle risorse degli “utenti”, un nuovo mito pronto ad esorcizzare le preoccupazioni collettive e garantire la continuità nel “servizio”. La strada della riappropriazione sociale del fatto educativo deve superare anche questi ostacoli non ancora espliciti. Solo così diventerebbero reali tante frasi fatte (e siamo obbligati a dire retoriche) sulla gestione sociale. L’autonomia della componente genitori, cittadini, comunità va promossa e sostenuta sul campo specifico del processo evolutivo delle nuove generazioni, come quella indipendenza di pensiero, quella padronanza emotiva, quella libertà di auto-progettazione che si dice in cima a tutti i progetti educativi di tutte le scuole di ogni ordine e grado. La pubblicazione di questi materiali va quindi intesa nel suo giusto senso: il tentativo di porli all’attenzione di “utenti” di altre scuole, la speranza di rompere un cerchio soffice che avvolge il genitore che vuole contare, non più perché portavoce del partito o della parrocchia, ma perché sta vivendo un’esperienza unica e… non delegabile (ma questi sono solo fantasmi del ’68?).

 

 

 

 

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