L’imbroglio della partecipazione forzosa

Dino Angelini

[ora anche su la “Gazzetta di Reggio” dell’8 Dic.22, pp.14\15]

Pare che l’affluenza alle votazioni per l’istituzione nel Comune di Reggio Emilia delle cosiddette “consulte territoriali” sia stata pari al 3,59% degli aventi diritto. Un flop clamoroso, reso ancor più grave se si pensa che per raggiungere – si fa per dire – questo esito così penoso sono mobilitate, probabilmente solo grazie all’odore dei soldi, università italiane e finlandesi e quant’altri. Reggio Emilia però, almeno nella sua storia, non è Reggio Calabria. Non lo è soprattutto quando si parla di partecipazione, ed anzi penso si possa dire che fin dalle sue origini il comune social-comunista (ma prima ancora quello prampoliniano), abbiano saputo sperimentare una dialettica fra mobilitazione -intesa come critica pratica dell’esistente- e partecipazione, intesa come uno dei vettori del cambiamento e della crescita non solo del movimento dei lavoratori, ma di tutto il territorio. Basta pensare alle materne dell’UDI, poi, grazie a questa critica pratica (!!), municipalizzate e diventate le scuole per l’infanzia di Malaguzzi per rendersene conto. E con loro i movimenti di base del ’68 reggiano contro la scuola di classe e per l’istituzione del tempo pieno; contro il manicomio e gli altri luoghi della segregazione, e per la nascita dei Centri d’Igiene Mentale; etc. – Ebbene a ben vedere in tutti casi si tratta sempre di pratiche inizialmente di base che non si prefiggono alcuna partecipazione, e che nello stesso momento in cui contestano l’esistente tendono a realizzare e sperienze reali alternative. È dalla nascita in un secondo momento di una dialettica fra questi movimenti di base e quegli amministratori accorti che provenivano dalle fila della resistenza a dalle lotte difensive degli anni ’50 che nasce un’alleanza, una partecipazione che porta alla realizzazione dei nuovi servizi, o alla radicale ridefinizione di quelli vecchi. Questa dialettica fra tecnici critici che nella pratica si pongono ‘il problema della cosa’ e amministratori accorti, cioè capaci di trasformare e istituzionalizzare i semi del cambiamento che provengono da queste esperienze embrionali è alla base del successo del modello reggiano. Ciò che avviene in un secondo momento è l’arrivo di nuovi amministratori che nominalmente sono ancora ‘di sinistra’, ma che in effetti sono i frutti di una sorta di selezione a rovescio che seleziona e promuove coloro che si prestano a ridurre le istituzioni ad un puro affare di natura amministrativa. Affare dietro al quale poi all’inizio della seconda repubblica comincia a fiorire il privato profit e no profit in cui nuovi tecnici, sottopagati, precari spesso assunti in maniera clientelare, anche se volessero di fatto sono posti nelle condizioni di non poter criticare nulla. È in questo periodo che la partecipazione diventa un tentativo sempre più marcato di svuotare la partecipazione di ogni istanza critica, e di ricondurla a pura facciata. Questo finché tutto non sparì e si disperse nella nebbia padana. Nel frattempo, dopo Porto Alegre, la partecipazione sta diventando dappertutto un’altra cosa. Qualcosa che si chiama democrazia partecipativa, e che è basata sui due strumenti del dibattito pubblico e dell’inchiesta pubblica liberamente promossi dai cittadini caso per caso dal basso, non top-down. Qualcosa cioè che somiglia molto a quella critica pratica che fu propria dei movimenti reggiani di base degli anni ’60. Abbiamo assistito invece in questi giorni ad un tentativo di far rinascere forzosamente non questo tipo di partecipazione, ma quella di facciata, illudendosi di ritrovarla fra le odierne nebbie novembrine, per farne un cartongesso dietro al quale nascondere il vuoto, e soprattutto gli affari. È un segno della miseria di questo odierno imbroglio il fatto che tutta l’operazione sia fallita nonostante tutti i quattrini e tutto lo sforzo accademico profusi nel tentativo di stimolazione galvanica di un qualcosa che non è più fra noi da tempo. Ed è un segno di scollamento fra questi novissimi amministratori e la loro stessa base quel misero 3,59% di votanti, che non promette nulla di buono per l’avvenire.

Potrebbero interessarti anche...