Né uomo né bestia. Franz Fanon e l’inconscio collettivo del colonizzato

di Jean Paul Sartre

da: “1968”, N. 2, Supplemento al N. 46 del Manifesto, 24 Febbraio 1988, pp. 31- 32

Nel secolo scorso, la borghesia considera gli operai come invidiosi, sregolati da grossolani appetiti, ma ha cura d’includere quei gran ferini nella nostra specie: a meno di essere uomini e liberi, come potrebbe vendere liberamente la loro forza di lavoro? In Francia, in Inghilterra, I’umanesimo si pretende universale.

Col lavoro forzato, e tutto l’opposto: niente contratto; per giunta, occorre intimidire; dunque l’oppressione si palesa. I nostri soldati, oltremare, respingendo l’universalismo metropolitano, applicano al genere umano il numerus clausus: poiché nessuno può – senza reato  – spogliare il suo simile, asservirlo od ucciderlo, pongono a principio che il colonizzato non è il simile dell’uomo. La nostra forza d’assalto ha ricevuto missione di mutare quell’astratta certezza in realtà: ordine è dato di abbassare gli abitanti del territorio annesso al livello della scimmia superiore per giustificare il colono di trattarli da bestie da soma.

La violenza coloniale non si propone soltanto Io scopo di tenere a rispetto quegli uomini asserviti, cerca di disumanizzarli. Niente sarà risparmiato per liquidare le loro tradizioni, per sostituire le nostre lingue alle loro, per distruggere la loro cultura senza dar loro la nostra; li si abbrutirà di fatica. Denutriti, malati, se ancora resistono la paura finirà l’opera: si puntano sul contadino fucili; vengono civili che si stabiliscono sulla sua terra e lo costringono con Io scudiscio a coltivarla per loro. Se resiste, i soldati sparano, lui è un uomo morto; se cede, si degrada, non è più un uomo; la vergogna e la paura incrineranno il suo carattere, disintegreranno la sua persona.

La cosa si fa senza dar fiato, ad opera d’esperti: i «servizi psicologici» non datano da oggi. Né il lavaggio del cervello. Eppure, nonostante tanti sforzi, lo scopo non è raggiunto da nessuna parte: nel Congo, in cui si tagliavano le mani dei negri, mica meglio che in Angola dove, or non è molto, si foravano le labbra ai malcontenti per chiuderle con lucchetti. Né io pretendo che sia impossibile cambiare un uomo in bestia: dico che non vi si arriva senza indebolirlo considerevolmente; i colpi non bastano mai, occorre forzare sulla denutrizione.

E’ questa la seccatura, con la servitù: quando si addomestica un membro della nostra specie, se ne diminuisce il rendimento, e per poco che gli si dia, un uomo da cortile finisce per costare più di quanto frutti. Per questo motivo i coloni son costretti ad arrestare l’addestramento a metà: il risultato, né uomo né bestia, è l’indigeno. Picchiato, sottoalimentato, ammalato, impaurito, ma fino ad un certo punto soltanto, egli ha, giallo, nero o bianco, sempre gli stessi tratti di carattere: è un pigro, dissimulatore e ladro, che vive di nulla e non conosce altro che la forza.

Il boomerang della violenza

Povero colono: ecco la sua contraddizione messa a nudo. Dovrebbe, come fa, si dice, il genio, uccidere quelli che saccheggia. Il che purtroppo non è possibile: o non è Forse necessario che li sfrutti? Mancando di spingere il massacro fino al genocidio, e la servitù fino all’abbrutimento, perde il controllo, l’operazione si capovolge, un’implacabile logica la porterà fino alla decolonizzazione.

Non subito. Dapprincipio l’europeo impera: ha già perduto ma non se ne accorge; non sa ancora che gl’indigeni son falsi indigeni: fa loro male, a sentirlo, per distruggere o ricacciare il male che hanno in loro; in capo a tre generazioni, i loro perniciosi istinti non rinasceranno più.

Quali istinti? Quelli che spingono lo schiavo a massacrare il padrone? Come non riconosce la sua stessa crudeltà rivoltasi contro di lui? L’asprezza selvaggia di quei contadini oppressi, come non vi ritrova la sua asprezza selvaggia di colono che quelli hanno assorbita da tutti i pori e da cui non guariscono? La ragione è semplice: quel personaggio imperioso, spiritato dalla sua onnipotenza e dalla paura di perderla, non si ricorda più chiaramente di essere stato un uomo: si crede uno scudiscio o un fucile; è giunto a pensare che l’addomesticamento delle «razze inferiori» si ottiene col condizionamento dei loro riflessi.

Il razzismo delle anime belle

Trascura la memoria umana, i ricordi incancellabili; e poi, soprattutto, c’è quello che egli forse non ha mai saputo: noi non diventiamo quello che siamo se non con la negazione intima e radicale di quel che han fatto di noi. Tre generazioni? Fin dalla seconda, appena aprivano gli occhi, i figli hanno visto percuotere i loro padri. ln termini psichiatrici, eccoli «traumatizzati». Per la vita. Ma quelle aggressioni senza tregua rinnovate, anziché spingerli a sottomettersi, li buttano in una contraddizione insopportabile di cui l’europeo, presto o tardi, farà le spese.

E dopo, li si addestri a loro volta, gli si insegni la vergogna, il dolore e la fame: non si susciterà nei loro corpi che rabbia vulcanica la cui potenza è uguale a quella della pressione che viene esercitata su di loro. Non conoscono, dicevate, se non la forza? Certo; dapprima sarà soltanto quella del colono e, ben presto, soltanto la loro, il che vuol dire: la medesima che si ripercuote su di noi come il nostro riflesso ci viene incontro dal fondo d’uno specchio. Non illudetevi; attraverso quel pazzo rovello, per

quella bile e quel fiele, attraverso il loro desiderio costante di ucciderci, per la contrazione costante di muscoli potenti che han paura di sciogliersi, essi sono uomini: attraverso il colono, che li vuole uomini di fatica, e contro di lui.

Cieco ancora, astratto, l’odio è il loro solo tesoro: il Padrone lo provoca perché cerca di imbestialirli, non riesce a spezzarlo perché i suoi interessi l’arrestano a mezza strada; così i falsi indigeni sono umani ancora, per la potenza e l’impotenza dell’oppressione che si trasformano, in loro, in rifiuto caparbio della condizione animale. Quanto al resto abbiamo capito; son pigri, certo: ma è sabotaggio. Dissimulatori, ladri: caspita; i loro furtarelli segnano l’inizio d’una resistenza non ancora organizzata. Non basta: ce ne sono che si affermano buttandosi a mani nude contro i fucili; sono i loro eroi; e altri si fanno uomini assassinando europei. Li si ammazza: briganti e martiri, il loro supplizio esalta le masse atterrite.

Atterrite si: in questo nuovo momento, l’aggressione colonialista s’interiorizza in Terrore nei colonizzati. Con ciò non intendo soltanto il timore che essi provano davanti ai nostri inesauribili mezzi di repressione, ma anche quello che ispira loro il loro stesso furore. Son stretti tra le nostre armi che li prendono di mira e quelle spaventevoli pulsioni, quei desideri omicidi che salgono dal fondo dei cuori e che essi non sempre riconoscono: giacché non è, da principio, la loro violenza, è la nostra, rivoltata, che cresce e li strazia; e il primo moto di quegli oppressi è di seppellire profondamente quell’inconfessabile ira che la morale loro e nostra condannano e non è però che l’ultimo ridotto della loro umanità.

Leggete Fanon: saprete che, nel tempo della loro impotenza, la pazzia omicida è l’inconscio collettivo dei colonizzati. Questa furia rattenuta, non potendo scoppiare, gira a tondo e sconvolge gli oppressori stessi. Per liberarsene, giungono a massacrarsi tra loro: le tribù si battono le une contro le altre non potendo affrontare il nemico vero – e potete contare sulla politica coloniale per mantenere le loro rivalità; il fratello, alzando il coltello contro suo fratello, crede di distruggere, una volta per tutte, l’aborrita immagine del loro avvilimento comune.

Ma quelle vittime espiatorie non placano la loro sete di sangue; si tratterranno dal marciare contro le mitragliatrici solo facendosi nostri complici: quella disumanizzazione che respingono, ne accelereranno per conto loro i progressi. Sotto gli occhi divertiti del colono, si premuniranno contro se stessi con barriere soprannaturali, ora ravvivando vecchi miti terribili, ora legandosi stretti con riti meticolosi (…). L’indigenato è una nevrosi introdotta e mantenuta dal colono nei colonizzati col loro consenso. Reclamare e rinnegare, simultaneamente, la condizione umana: la contraddizione è esplosiva. Perciò esplode, Io sapete quanto me.

E noi viviamo al tempo della deflagrazione: che l’incremento delle nascite accresca la penuria, che i nuovi venuti debbano temere di vivere quasi più che di morire, il torrente della violenza travolgerà tutte le barriere. ln Algeria, in Angola, si massacrano a vista gli europei. E il momento del boomerang, il terzo tempo della violenza: essa ritorna su di noi, ci percuote e, mica più delle altre volte, noi non capiamo che è la nostra. I «liberali» restano storditi: riconoscono che non eravamo abbastanza gentili con gli indigeni, che sarebbe stato più giusto e prudente accordar loro certi diritti nei limiti del possibile; non chiedevano di meglio che di ammetterli per infornate e senza padrini in questo club così chiuso, la nostra specie: ed ecco che quello scatenamento barbaro e pazzo non li risparmia mica più dei cattivi coloni. La Sinistra Metropolitana sta a disagio: conosce la vera sorte degl’indigeni, l’oppressione senza quartiere di cui sono oggetto, non condanna la loro rivolta, sapendo che abbiamo fatto di tutto per provocarla. E tuttavia, pensa, ci sono dei limiti: quei guerrilleros dovrebbero avere a cuore di mostrarsi cavallereschi; sarebbe il miglior mezzo di provare che sono uomini.

Talvolta li strapazza: «siete degli esagerati, noi non vi appoggeremo più». Quelli se ne fottono: per quel che vale l’appoggio ch’essa loro accorda, può altrettanto bene metterselo al sedere. Appena la loro guerra è cominciata, hanno scorto questa verità rigorosa: noi ci valiamo tutti quanti siamo, abbiamo tutti approfittato di oro, non hanno niente da provare, non faranno trattamenti di favore a nessuno. Un solo dovere, un solo obiettivo: cacciare il colonialismo con tutti i mezzi. E i più avvertiti di noi sarebbero, a rigore, pronti ad ammetterlo, ma non possono far a meno di vedere, in questa prova di forza, il mezzo tutto inumano che sotto-uomini hanno preso per farsi elargire uno statuto d’umanità: lo si accordi al più presto e cerchino allora, con imprese pacifiche, di meritarlo. Le nostre anime belle sono razziste.

Potrebbero interessarti anche...