Sull’articolo di Filippo Gentiloni

Martina Franca, c.da Paretone 19/01/18
Caro Dino,
ieri mi sono arrivate, in contemporanea, la notizia triste della morte di Michele Gesualdi (qui ci limitiamo a ricordarlo come uno dei ragazzi di Barbiana) e quelle note di Filippo Gentiloni, che mi hai inviato su “Lettera a una professoressa”, con le considerazioni sul rapporto tra la Scuola di Barbiana ed il movimento studentesco del ’68 , che di quel libro , in buona parte, aveva fatto una bandiera (insieme al Libretto rosso e a L’uomo a una dimensione, in una sintesi abbastanza fantasiosa e leggermente improbabile… ).
Chiedo scusa alla memoria di Michele Gesualdi , il quale affermava che su Don Milani non si “sdottora” , se riporto qualche mio pensiero, comunque non “sdottorando”…e non ne sarei nemmeno in grado. Parecchie ed interessanti sono le riflessioni in quelle note di Filippo Gentiloni, che poi, quasi inevitabilmente, si avventura negli impervi sentieri dell ’ “E SE” : e se Don Milani avesse vissuto il ’68 ? e quali sarebbero state le sue posizioni? E cosa ne avrebbe pensato? E aggiungo: i critici, gli opinionisti, i preti, i pedagogisti e le professoresse, soprattutto le professoresse, cosa avrebbero pensato di quello che lui avrebbe eventualmente pensato??????
C’è poi, come ricorderai, un accostamento a Pasolini, a quel Pasolini della scomparsa delle lucciole e della “condanna” della scuola dell’obbligo. Ora, se le lucciole, nonostante le cupe profezie, continuano fortunatamente ad illuminare i nostri boschi, a proposito di scuola dell’obbligo, c’è da ricordare che i ragazzi di Barbiana (…”come milioni di ragazzi contadini”, op.cit.) erano pronti a sottoscrivere che “la scuola è meglio della merda” o letame, comunque lo si voglia definire. Quello di don Milani e dei suoi ragazzi, ne sono convinta, è davvero un profondo e ragionato atto di amore e di fiducia per la Scuola e per la cultura, un amore non ricambiato, o piuttosto non ricambiato abbastanza.
E se mai ne avessimo l’autorità, per questo amore gli perdoniamo quella punta di misoginia (…sì, un poco ce n’è ) e il modo sbrigativo di liquidare la cultura classica: vi ricordate quello che i ragazzi (forse comprensibilmente, dal loro punto di vista ) scrivevano intorno all’Iliade? tuttavia i miti fondanti della nostra storia affascinano ancora, e, realmente, senza un passato, siamo così poveri… Del resto , anche don Milani lo sapeva bene, poiché portava i suoi ragazzi alla Scala, a seguire le opere liriche.
La bocciatura, come materia del contendere: spesso ci si ferma lì, ma in Lettera a una professoressa c’è molto altro. C’è , per esempio, la destrutturazione del percorso scolastico: la concezione della scolaresca che procede verso le magnifiche sorti e progressive della conclusione dei programmi, con i migliori in testa ( e i vessilli che garriscono al vento… ), viene sostituita, o meglio addirittura ribaltata, da quella delle Classi aperte, dove la cooperazione punta al conseguimento dei migliori obiettivi possibili per ciascuno, senza esclusioni e, nello stesso tempo, senza penalizzare i talenti di nessuno.
I talenti, appunto: quelli della parabola evangelica. La professoressa descritta in quelle pagine, che veniva (ma questa è una mia interpretazione… ) immaginata come consorte di un marito benestante (ed in pelliccia di visone con annessa borsa firmata) sicuramente esisteva, forse esiste ancora, magari come specie protetta, in quanto in via di estinzione. Non ci sono quasi più, infatti, le professoresse che lavoravano “tanto per far qualcosa” (ne ho conosciute … ma molti anni fa) : la scuola è cambiata e la società è cambiata, non necessariamente del tutto in meglio.
Noi tuttavia crediamo che il ’68 molto di buono l’abbia prodotto. La vulgata comune, demonizzando i rapporti tra il ’68 e la scuola, ne sottolinea il “voto politico”, gli approssimativi esami di gruppo, la decadenza dell’istruzione. Abbastanza prevedibile quest’ultima, se alla scuola d’élite per i Pierini, figli del notabile, si è venuta a sostituire la scolarizzazione diffusa e generalizzata. Ed è colpevolmente strano, d’altra parte, che non si ricordi quanto studio e cultura e fermenti innovativi abbiano caratterizzato quel periodo. A me sembra un bene che oggi non si riesca quasi più ad immaginare, beninteso alle nostre latitudini, cosa fossero il lavoro infantile, i “carusi” siciliani, i servi pastori di “Padre padrone”, i nostri garzoni degli “iazzi” e delle “calaredde” ; traduco: piccoli pastori e manovali – muratorini.
La scuola dell’obbligo, ribadito dalla Costituzione, resta una vittoria anche se ha sicuramente messo da parte un po’ di antichi saperi ( tranquilli, di solito questo, che resta comunque un patrimonio, viene riciclato ad uso turistico …e nei Presepi viventi). La scuola che i vari e compositi movimenti sessantottini avevano concepito, probabilmente deve nascere ancora, tra i vari tentativi di portarla alla luce o di eliminarla in culla, tra riforme volonterose o più spesso grossolane; di certo nessuno aveva mai pensato allora di essere arrivati ad una conclusione. Era un inizio, un début, e se ormai non continuiamo la lotta, speriamo si possa almeno proseguire il cammino per avvicinarci ad una scuola buona, ma “buona” veramente.

 

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