Una lettera da Catania sul ’68

Saro Romeo, compagno e amico fin dai tempi di Trento, mi ha scritto questa lettera a commento dell’intervista che Gabriele Franzini di Telereggio mi aveva fatto due anni fa sul ’68, e che avevo riproposto poco tempo fa su facebook. Dopo aver avuto l’ok di Saro, la propongo, insieme al video, a voi, ‘trentini’ e non, con il proposito di pubblicare qui su Reggio Fahrenheit ogni ulteriore contributo scritto, video o audio sul tema. Chi vuole può farlo inviando i propri commenti (firmati!!) a questo indirizzo: dinange@gmail.com – Grazie per l’attenzione, Dino Angelini

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di Saro Romeo

 

Catania, 18-11-‘20

Caro Dino,

ti ringrazio per aver condiviso l’intervista che hai rilasciato a TeleReggio, pare a maggio del ’18, perché non la conoscevo. L’ho trovata interessante. Hai parlato della tua personale esperienza, prima e dopo Trento ed hai tratto considerazioni generali, una specie di bilancio in generale sul ’68. Riflessioni molto succose e stimolanti.

Nel ’19 ho incontrato Marco Boato a CT per la presentazione del suo ottimo libro sul ‘68, cui anche tu fai riferimento, e mi ha colpito come lui ponesse l’accento, quasi in modo esclusivo, sul contenuto “Antiautoritario” del MSAT. Ti confesso che mi è parso, anche nella successiva lettura del libro, una visione giusta ma riduttiva.

Con questa intervista tu allarghi la visuale, sia per quel che riguarda le origini politiche di coloro che hanno iniziato il Movimento che per i risultati ottenuti, che li fai concludere nell’’82 con la separazione Andreattiana tra Tesoro e Banca d’Italia. Proponi anche una rapida analisi sull’attualità.

Come già detto ho trovato il tutto molto stimolante e vorrei condividere alcune riflessioni.

Innanzi tutto devo premettere che il periodo dei 2 anni cui ti vi riferisci mi sta stretto perché non riesco a scinderlo dagli anni immediatamente successivi. A mio avviso il ’68, che giustamente fai nascere qualche anno prima, si caratterizza fin da subito come Internazionalista (hai citato le manifestazioni per il Vietnam prima del ’68) e Anti-sistemico.

Se è pur vero che il nucleo iniziale del Movimento, a Trento, fatto dalle “teste calde” ha iniziato con una critica al PCI per cambiarlo, poi rapidamente si è trasformato in una critica generale al sistema, Italiano e Mondiale. Parlavamo di “Rivoluzione” e dare del riformista a qualcuno era quasi un insulto.

E la critica è stata profonda ed articolata. Critica al Capitalismo come sistema-mondo che aveva nelle disuguaglianze e nello spudorato sfruttamento il suo perno, sfruttamento non solo della classe operaia ma di tutti i popoli oppressi, delle donne, della natura, che fa dell’emarginazione e della segregazione razziale una forma di oppressione e sfruttamento. E la critica si estendeva alla famiglia, ai rapporti di potere interpersonali e politici in genere: Tutto è politica. etc …

Quel movimento ha visto nascere il nuovo femminismo, l’antirazzismo, l’ecologia: contestazione e critica totale e rabbiosa al Sistema Capitalistico che nasce dalla delusione per il tradimento dei valori Illuministici della Rivoluzione Francese definitivamente affermatesi con i movimenti e le sommosse del ’48 che hanno liquidato le speranze reazionarie dell’Ancienn Regime permettendo il definitivo affermarsi del Liberalismo, nelle sue differenti forme (conservatore, progressista e socialista) ma soprattutto con le sue promesse: cambiare il modello di società è possibile ed il Popolo è il Sovrano e non più il Re, che a loro volta contenevano le promesse di Libertà, Uguaglianza e Fraternità.

Dunque rabbiosa delusione anche verso i regimi Comunisti ed il PCI (sottolineata dai fatti d’Ungheria e di Praga).

Come il ’48 anche il ’68 (che ha investito le economie-mondo Capitaliste), ha fatto paura, paura delle classi subalterne, così come era spesso successo nei secoli precedenti: il XIV° secolo, il XVI°, il XVI I°, XVIII°, …

Una generazione, nata subito dopo la seconda guerra mondiale, nutrita da quei valori ed in Italia da quelli della resistenza, che li vedeva traditi nella pratica politica delle classi dirigenti, una generazione cui stava stretto non solo l’Autoritarismo ma anche le Ingiustizie di cui sopra dilaganti nel mondo intero. E vi era totale consapevolezza.

Non sono state lotte riformiste ma profondamente Anti-sistemiche, anche se hanno sviluppato, nei fatti, contropotere riformista.

Oggi tutte le tematiche che ho citato stanno poderosamente riemergendo, dopo avere scavato sotto traccia per decenni, arricchite da una loro interconnettività e da una consapevolezza allargata, ciò anche grazie a quanto tu stesso dici che molti dei militanti si sono poi disciolti nella società portandovi spesso i contenuti maturati nel Movimento, sebbene credo che ciò sia avvenuto qualche anno dopo di quanto tu ti riferisca poiché una grande parte di noi entrò anche nelle formazioni politiche che si composero soprattutto dopo Piazza Fontana, che durarono molto amplificando ed ampliando i contenuti.

Concordo perfettamente che il risultato immediato fu lo Stato Sociale, soprattutto in Europa. Ma questo avvenne erodendo il profitto e impoveriva il capitale che reagì immediatamente come ricordi tu stesso quando nell’82 Andreatta separò il Tesoro dalla banca d’IT, anche se a mio avviso ci furono altre concause come la fine del “Gold Standar” nel ’71 e la separazione tra banche commerciali e di affari nel ’93. Si preparavano alla “Finanziarizzazione”.

Ma soprattutto, a mio avviso, ciò che fu più importante è stato l’inizio dello smembramento delle fabbriche.

Ricorderai il fenomeno della “fabbrica diffusa” interpretato in Italia, tra i primi, dai Benetton che riempirono il veneto di piccoli laboratori per i loro maglioni.

Le Grandi fabbriche furono progressivamente ridotte a luoghi di assemblaggio di produzioni sparpagliate nel territorio dando poi luogo alla Delocalizzazione in cerca di condizioni salariali più favorevoli. In giro per il mondo. Quella che (impropriamente) chiamiamo Globalizzazione.

Mi rendo conto di avere preso una brutta piega, soprattutto lunga, ma oramai che ci sono continuo, perché tra le giuste affermazioni che fai ve ne sono alcune, riferite soprattutto all’oggi, su cui mi piace soffermarmi.

Alla domanda del perché i giovani di oggi sono lontani dall’impegno collettivo esprimi la tua rabbia accusando il Sindacato di non saper rispondere al precariato.

Concordo perfettamente sulla necessità di ripartire dal mutualismo ma non sulla visione della fabbrica che è sottesa alle tue argomentazioni.

Dove e come stiamo andando è un altro film.

Secondo me il sindacato non è più attrezzato a comprendere la nuova realtà perché guarda alla fabbrica ancora come il luogo della vecchia classe operaia, come il luogo principale dell’estrazione delle plus valenze.

A mio avviso la composizione del lavoro nelle fabbriche è oggi prevalentemente caratterizzato da quello che chiamavamo “Aristocrazie Operaie” e da una piccola parte dal precariato ma soprattutto oggi la fabbrica non è più il luogo della centralità produttiva, non è più il luogo da cui si estrae la parte più significativa del surplus, del profitto, ma lo è il territorio, non è più il tempo lavoro ma direttamente la vita, i corpi di noi tutti e dei giovani (e non più giovani) sparpagliati nei territori che esercitano i più svariati lavori precari, che sono il luogo e l’oggetto dello sfruttamento più intenso ed esteso.

Siamo già passati in una nuova epoca del Capitalismo, quella delle Piattaforme, il modo di produzione ha definitivamente voltato pagina. Come voltò pagina tra il ciclo Mercantile e quello Industriale.

Il che non vuol dire che i vecchi modi di produzione siano spariti, anzi permangono e si modernizzano ma non sono più “centrali”.

La rendita parassitaria permane, si è spostata dai feudi ai palazzi di citta ed alle Borse, il mercantilismo continua ad esistere e la logistica è esplosa, la produzione industriale si è enormemente allargata e robotizzata, ma sono le Grandi Piattaforme che occupano i primi posti delle classifiche di accumulazione divenute tanto potenti che finanziano l’OMS, censurano i post del Presidente degli USA, creano le grandi reti di comunicazione (non più gli Stati), etc …

Ne deriva una nuova composizione di classe che da decenni ormai, e sempre più chiaramente, si muove in modo diverso nei territori metropolitani, senza Leader, con grandi, oceaniche e incisive mobilitazioni sempre meno effimere e che di volta in volta crescono in ampiezza e contenuto, e cominciano ad indicare sia nuove forme di mutualismo che di organizzazione che fanno fatica ad emergere ma iniziano ad intravedersi.

Solo che non coincidono con quelle della nostra esperienza, della nostra generazione spesso ancora ancorata allo Sciopero di fabbrica, al Partito, al Sindacato, etc …

Le lotte ci sono, sempre di più, ma sono diverse e sono comunque, come prima, sempre vincenti nel lungo periodo (talvolta come nel nostro ’68 anche nel breve) perché costringono il Capitale a riorganizzarsi continuamente fino ad erodere e annullare i margini della sua possibile espansione.

Questo lo abbiamo creduto con Marx e lo crediamo ancora solo che ci siamo illusi che avvenisse ora e subito, tutto sotto i nostri occhi.

Mi rendo perfettamente conto che un’intervista ha dei limiti di tempo e di argomenti ma mi è piaciuto comunque chiosare e tralascio il reddito garantito, il Neo (?) Liberismo e la Globalizzazione altrimenti ….

Un abbraccione,

Saro

 

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