Il polo della meccatronica più a Nord dell’Area Nord

Dino Angelini

7.7.12

Un articolo sulla Stampa on line di Federico Guerrini c’informa che in quel di Rovereto (Trento) sta per nascere un polo della meccatronica. Siccome nei disegni dei nostri amministratori la meccatronica, in forma di polo, dovrebbe essere una delle punte di diamante della nostra Area Nord, viene da chiedersi ora se la nascita di un polo identico a poco più di 150 Km di distanza non sia la premessa per un accantonamento o per un ridimensionamento del polo reggiano.

Fra gli scarsi commenti a questa notizia prevale a Reggio la considerazione che sulla decisione trentina possa avere pesato il fatto che Trento è una provincia autonoma, che può velocemente mettere a disposizione del proprio territorio risorse più ingenti di quelle che, fra mille trappole burocratiche, possono essere attivate dal comune di Reggio Emilia.

C’è sicuramente del vero in questo tipo di considerazioni, che a mio avviso però non bastano a spiegare quel che è successo.

Trento, come Reggio, solo da poco tempo è una città universitaria: quando ci arrivai da studente di Sociologia nell’anno accademico 1963\64 (secondo anno dalla sua fondazione) Trento era una città contadina, con qualche enclave industriale, con molte caserme e con un turismo ancora arretrato.

L’università, che per un lungo periodo fu una mono-facoltà finanziata dalla provincia autonoma, era stata voluta dall’allora suo presidente Bruno Kessler – un moroteo di acuto ingegno e di larghe vedute -, e fin dall’inizio fu pensata come un luogo che acquisisse senso a partire da qualcosa di utile per la comunità locale. Tant’è vero che l’idea iniziale era “Scienze forestali”.

Ma i docenti della Cattolica di Milano, ai quali Kessler si era rivolto per consiglio, avevano invece intuito che quel luogo, in quel momento cruciale per la trasformazione dell’Italia (erano gli anni del boom), poteva risultare utile come centro di ricerca capace di concorrere alla comprensione di quel rapido mutamento che stava sconvolgendo la più ampia comunità nazionale: e nacque Sociologia.

Tutte le prestigiose scelte fatte in seguito a Trento (economia, diritto, etc.) sono state immaginate nel solco di questa primitiva scelta.

Che cosa è successo invece a Reggio Emilia? si è cercato affannosamente dapprima un abbinamento con Bologna, poi con Parma, ed infine con Modena, non avendo mai in mente un disegno che andasse al di là delle ragioni di campanile. Poi è partita un’opera di maquillage in base alla quale – come in tutto – “dovevamo” essere primi: c’è un video di qualche anno fa in cui gli studenti di Unimore impietosamente mettono alla berlina questo fittizio primato (cfr:  http://youtu.be/99zLcgnrbkc ).

E infine l’Area Nord dove sostanzialmente sono stati usati nomi illustri, ma totalmente all’oscuro  della realtà reggiana, per avvalorare scelte locali spesso discutibili. Fra le quali la meccatronica, che peraltro forse era un delle poche scelte ad avere un qualche fondamento.

Cosicché, mentre a Reggio si discute vagamente con l’universo mondo dei massimi sistemi, Trento arriva prima (nel 2013 si parte!) alla meccatronica mettendo intorno ad un progetto (e non a un “tavolo”), come dice Guerrini: “una pubblica amministrazione che investe tantissimo in ricerca e sviluppo, più della media europea, associazioni ad hoc per la promozione della ricerca sul territorio come Trento Rise, e enti e manifestazioni di respiro internazionale, come la Fondazione Bruno Kessler che ospita 380 ricercatori che si occupano di fisica nucleare teorica, scienze sociali e telecomunicazioni, ma anche Createnet, il Cosbi  di Microsoft Research, all’avanguardia per quanto riguarda le possibili sinergie fra informatica e sistemi biologici, e il centro per la computer grafica Graphitech” …. nonchè “uno dei centri degli ICT Labs dello European Institute of Innovation and Technology, il “MIT d’Europa” creato da Bruxelles per rivaleggiare con quello di Boston”-

Ai nostri “tavoli” nel frattempo la teoria infinita di eventi mediatici dove l’unico elemento fondamentale è l’investimento edilizio, con continui e spesso autistici ripensamenti anche su questo piano: per cui non si capisce bene se e come si giustappongono le aree dell’ex San Lazzaro e delle ex Reggiane; se, quando e da chi venga coinvolta Unimore nella ridefinizione degli spazi di ricerca.

Ora fate voi: la TAV è in discussione, oltre che in lievitazione di prezzi e di scopi; la meccatronica migra più a nord, mentre il Centro Malaguzzi – dietro il paravento delle poche voci che hanno mantenuto un profilo individuale e un pensiero legato all’oggi – vive ormai di ricordi, di visite guidate in luoghi che assumono sempre più le sembianze di luoghi museali, di “trovate” intorno alle quali costruire costosi eventi, con scarsissime relazioni con il resto dell’attuale ricerca locale sul bambino e sull’adolescente (ma di questo parleremo magari in uno dei prossimi post).

Secondo me un ripensamento è d’obbligo, anche perché gli assetti di potere locale sui quali sono state fatte queste scelte agli inizi della seconda repubblica sono “in scadenza di mandato”, e Parma insegna che nulla nel 2014 sarà come prima.

PS: Proseguendo nel confronto con Trento: la stesso confronto, mutatis mutandis, può essere fatto  in ambito artistico e museale: a Trento e Rovereto il Mart, a noi i funghi di Rota!

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