I nonni e la crisi

Dino Angelini

29.7.12

Gli psicoanalisti infantili distinguono fra persone amate e persone preferite da parte del bambino: quelle amate sono i genitori, mentre le persone preferite normalmente comprendono una rete più o meno ampia di parenti, di conoscenti e di altri personaggi che si prendono cura sussidiariamente di lui (o di lei). Fra i quali un posto di assoluto rilievo è occupato dai nonni.

Le persone amate sono anche quelle più temute, poiché è a loro che spetta di dare le dritte su come imparare a comportarsi nella società e nella vita, soprattutto di fronte alle inevitabili frustrazioni; mentre le persone preferite, e i nonni in particolare, solitamente sono esentati da questo ingrato compito con il risultato di potersi abbandonare full time al gioco insieme ai loro nipoti come accadeva nella loro ormai lontana infanzia.

Questa regressione controllata ai piaceri di una volta, ritornati improvvisamente attuali, si accompagna alla sensazione (incrementata dal gioco delle somiglianze) che qualcosa di noi nonni continui a vivere nei nostri nipoti: e le due cose insieme danno come una sensazione di immortalità giocosa che attenua il peso degli acciacchi.

Eric Erikson sostiene che nell’ultima fase della nostra vita l’alternativa è fra riuscire a preservare una integrità dell’Io nonostante la vicinanza della nostra dipartita, o cedere alla disperazione: ebbene penso che tutti converranno con me sul fatto che entrare nella terza età col patentino di nonni aiuti non poco a continuare a mantenersi integri e disponibili a fare con amore e con cura la parte di “oggetto preferito” assegnataci dal bambino.

Su questo plafond, che rimane valido in ogni cultura e in ogni epoca,  va detto però che la nostra società ha disegnato un insieme di percorsi delle nonnità che variano a seconda della classe sociale di appartenenza dei nonni e da come in un determinato territorio funziona il welfare. Cerco di spiegarmi meglio, e lo faccio partendo da una ricerca fatta una quindicina di anni fa sulle giovani coppie reggiane sotto la guida della Maria Rita Rampazi. Diceva la Rampazi che nello scegliere il luogo in cui andrà a vivere ciò che cerca la giovane coppia è una sistemazione in vicinanza di un nido e\o dell’abitazione di una delle due coppie di nonni.

Possiamo pensare che in un territorio che soffra per la carenza dei nidi la scelta sia più unidirezionalmente diretta verso i nonni: e questo ci introduce all’interno di una discorso sul welfare che vede, accanto al welfare pubblico, un “welfare familiare” (così lo chiamano i sociologi), molto meno analizzato, perché senza oneri per lo stato, ma non per questo meno imponente del primo.

Afferma Nadio Delai – un sociologo che si è interessato dei problemi degli anziani – che intorno 2002 le risorse che annualmente passavano dai nonni ai figli e ai nipoti ammontavano all’incirca a 83 miliardi di euro. Questa era una decina di anni fa la forza nascosta del welfare familiare che, insieme al reddito dei genitori e al welfare pubblico, concorreva a sostenere le famiglie, rappresentando un enorme ammortizzatore sociale: un enorme tesoro, composto non solo da risorse finanziarie, ma di ogni sorta di sostegno (compresa quell’attività di baby sitting messa in luce a Reggio dalla ricerca della Rampazi) senza il quale l’Italia sarebbe andata a fondo da un pezzo.

Certo, il welfare familiare è un ammortizzatore sociale che funziona e ridistribuisce direttamente solo all’interno del circuito familiare, mettendo a disposizione delle generazioni che emergono i risparmi dei familiari appartenenti alla generazione che declina. Sappiamo però che il risparmio degli italiani fino a poco tempo fa è stato uno dei pochi argini effettivi al default, così come sappiamo che, sempre fino a poco tempo fa, bene o male esistevano e funzionavano con logiche perequative altri ammortizzatori sociali – fra i quali il welfare pubblico, il sistema pensionistico, etc – che di concerto con il welfare familiare svolgevano una importantissima funzione redistributiva e di sostegno alla domanda interna.

Ciò che è avvenuto nella seconda repubblica è un’opera di lenta erosione che entrambi gli schieramenti hanno operato sia sui salari, sia sul lavoro, sia sul welfare, con virulenza certo maggiore da parte del centrodestra, ma sotto il comune segno del neoliberismo, che non per caso nell’ultimo scorcio della legislatura attuale ha assunto il volto feroce ed impietoso dei tecnici, sostenuti e dal PD e dal PDL, che hanno accelerato il processo di erosione portando al collasso il paese.

In questa nuova e drammatica situazione l’attacco ai salari, al posto fisso, alle pensioni e al welfare sta producendo una crescente divaricazione fra i singoli e fra le classi sociali: c’è chi è derubato già del presente, chi invece ancora può falsamente sperare, anche grazie ad un sistema della comunicazione asservito ed uso ad annebbiare la vista e mandare in fumo i cervelli.

Cosicché da una parte ci sono già i nonni esodati, quelli cui è stata allungata sine die la data di una pensione nel frattempo quasi evaporata, quelli che sono destinati ad essere espulsi a breve dal mercato del lavoro grazie alla Fornero, etc.; mentre dall’altra ci sono coloro che ancora tirano a campare alla bell’e meglio. Tutti i comuni cittadini però – chi più chi meno – sono costretti ad intaccare i propri risparmi: e in questo modo Monti & Co. finiscono di compiere l’opera loro, che è quella di spolpare i meno abbienti, dilapidare le risorse vitali e i beni comuni in attesa che i pescicani loro sodali ripassino per ramazzare il tutto con l’ultima  botta di spread.

Come sia possibile per un nonno, ma anche per un padre o una madre, appartenenti alle classi meno abbienti mantenere un’integrità dell’Io in una situazione simile dovremmo chiederlo al signor ministro della sanità, che non per nulla sta pensando insieme ai suoi tecnici di ripristinare i manicomi.

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