Grillo e Favia, storytelling tra tv e Rete

Dino Angelini

26.8.12

Viene fuori nei giorni scorsi che alcune Tv locali emiliano-romagnole si fanno pagare le comparsate dei politici in alcuni loro programmi. In un primo tempo pare coinvolto solo Favia, del Movimento5Stelle; poi si intuisce che il denaro per quelle comparsate l’hanno pagato un po’ tutti. La cosa però fa scandalo soprattutto per il coinvolgimento dei grillini, data la loro idiosincrasia per la Tv più volte ricordata da Beppe Grillo, che infatti sconfessa quest’azione di Favia. E Favia si pente di averlo fatto.

Ora, al di là delle polemiche del momento (io stesso su questo sito ho sostenuto che Favia non ha fatto nulla di male), proviamo a ragionare sul significato di ciò che è successo. Per farlo dobbiamo partire dall’analisi di come oggi si forma l’opinione pubblica.

Grillo ha compreso prima di tutti che, di fianco ai più tradizionali strumenti rappresentati dai giornali cartacei e dalla Tv, un segmento sempre più consistente della pubblica opinione si forma in rete e ha investito fortemente in questa direzione; un po’ come a livello locale va facendo il nostro direttore che – se non ricordo male – fece nascere Reggio24Ore a partire da un identico ragionamento.

Le rete impone un rapporto più democratico con l’utente che non solo può interagire con l’emittente in vari modi ma, cosa importantissima a partire dal web 2.0, può fare da cassarmonica a questo o quel contenuto riproponendolo ai propri amici con un livello di criticità che va dalla più entusiastica alla più critica delle propagazioni.

La vittoria dei quattro referendum è stata efficacemente ed entusiasticamente supportata da migliaia di persone che hanno usato Facebook e Twitter come un luogo di “volantinaggio” mirato raggiungendo milioni di persone (idem pare sia successo nel caso della vittoria di Obama in Usa). E, di contro, chi di noi cybernauti non ricorda la reazione al “lei non sa chi sono io!” di Burlando beccato contromano dalla polizia, allorché in pochi minuti il suo sito personale fu invaso da migliaia di insulti e di commenti irridenti che lo costrinsero a chiudere ciò che improvvidamente aveva appena aperto in rete? E ancora non c’erano i social network a diffondere urbi et orbi la sua strafottenza!

Grillo cura – certo con ineguagliabile maestria! – solo questo strumento di formazione dell’opinione pubblica; e a partire da questo strumento ha formato il Movimento5Stelle. Mentre i grandi giornali stanno cercando di riparare al loro crescente deficit comunicativo su questo piano attraverso un’opera di affiancamento della rete al cartaceo: la rete infatti rende non più vera la famosa frase di Pintor che affermava che “il giorno dopo” il giornale diventa solo carta in cui avvolgere il pesce fritto.

Ma sono incoerenti poiché lo fanno in base alla convenienza. Per cui a volte lo fanno in maniera efficace (è il caso della campagna dei post-it di Repubblica), più spesso in maniera stupida: vedi l’improvvisa eclissi dei commenti dalla pagina web, sempre di Repubblica, quando Scalfari & co. hanno deciso di seguire Monti e King George nella loro corsa verso il baratro. Eclissi che al cybernauta – e sopratutto al cybernauta che aveva inviato alla pagina web del giornale la propria foto con la scritta contro il bavaglio – “parla” e testimonia a chiare lettere dell’incoerenza e della malafede del giornale!

Tornando ora a Favia, ciò che egli si era proposto di fare era un’altra cosa ancora, e cioè il tentativo di raggiungere un altro segmento della popolazione, che non s’incrocia (ancora) né con la carta stampata né con la rete: quello influenzato solo dalle Tv. Un tentativo comprensibile, ma estremamente maldestro.

Infatti ciò che non ha compreso Favia (e che sicuramente ha compreso Grillo, se non altro perché quegli ambienti lui li ha frequentati) è il fatto che la formazione di quel segmento dell’opinione pubblica non può essere minimamente intaccata dalle comparsate, e meno che mai da quelle a pagamento. Perché ciò che vale in Tv è il palinsesto.

È il palinsesto che nella sua intierezza e nella sua “eterna” permanenza nel tempo produce quella “coltivazione televisiva”, già analizzata da Gerbner e dai suoi discepoli, i cui effetti sul grande consumatore di Tv (cioè colui che ne fruisce per 4\5 ore al giorno!) già negli anni ’70 erano così definiti: “I grandi consumatori tendono a dare “risposte televisive” ai problemi sociali e individuali più alte di quelli meno esposti, con i seguenti esiti rispetto a coloro che sono meno esposti: sovrastima della quantità di violenza attuata nella società; maggior senso di insicurezza; minore autostima; maggiore propensione al razzismo; maggiore propensione a percepire gli anziani e i deboli come marginali; ansia più elevata; maggiore propensione all’introiezione di ruoli sessuali più stereotipati; maggiore insoddisfazione circa il proprio stile di vita”.

Berlusconi docet in proposito. Insomma: altro che i due minuti di comparsata in una Tv locale! Se uno vuole incidere veramente su questo piano deve sconvolgere il palinsesto, ridefinire lo stile dello storytelling televisivo collegandolo in mille modi alla rete per renderlo più democratico e interattivo, come si dice. E’ ciò che timidamente sta cercando di fare Santoro, la cui azione – per quanto meritoria – rimane parziale perché non intacca il palinsesto. Al massimo lo scalfisce.

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