Un Cincinnato per il PD

Dino Angelini

9.9.13

 

Tutti i riposizionamenti all’interno del PD possono essere inquadrati – come ha detto Nicola Fangareggi – come una grande operazione di trasformismo. Di un trasformismo di tipo nuovo, aggiungerei. In cui non ci sono più dei dirigenti di sinistra che slittano verso il centro, com’era al tempo delle rivoluzioni passive studiate da Gramsci. Questi – tranne rare eccezioni – non sono mai stati di sinistra. Mai l’equivalente odierno dei mazziniani o dei socialisti pentiti. Hanno sempre tirato a campare, riposizionandosi secondo convenienza.

E perciò il loro punto di approdo non è diverso da quello di partenza; così come uguale è il loro programma restaurativo di ieri e di oggi. Dovunque ieri essi fossero. Qualunque sia la loro provenienza. Uguale e subordinato – o al massimo reattivamente subordinato – in ogni comparto a quello berlusconiano. È su queste convergenze “programmatiche” che Napolitano – e insieme a lui Draghi, Monti, Trichet, etc. – hanno potuto sfrondare l’albero – Italia fino a condannarlo all’inedia, senza alcuna attenzione per una sua possibile rinascita in qualche lontana primavera (lo dicono ormai anche i dati Ocse!).

Senza alcuna pretesa di portare a compimento una rivoluzione passiva, avrebbe detto Gramsci; ma semplicemente obbedendo agli appelli all’auto-immolazione di un popolo provenienti dalla Germania così come dagli “amici degli amici” interni ed internazionali.

Brunetta e Berlusconi arrivarono a farsi descrivere, e “prescrivere” in maniera circostanziata, mediante lettera, da Draghi le modalità della pubblica esecuzione della nostra economia. Ma non è che Bersani usò un diverso registro quando dovette motivare la prima alleanza col PDL. E non è per altro motivo che Napolitano ha orchestrato la propria rielezione ed il varo del Governo Letta.

Idem ha fatto Renzi con i suoi amici del mondo della finanza. Anzi, per non sbagliare, Renzi ha fatto di più: non lo ha neanche esposto il suo programma per l’Italia. Cosicché domani potrà dire che, siccome è stato votato per la sua bella faccia telegenica, potrà fare o non fare tutto ciò che gli tira, e con chi gli tira.

A ben vedere però la gente del PD (che ormai sta diventando altra cosa rispetto ai dirigenti) un’alternativa ce l’ha. E si chiama Prodi.

Prodi ha un programma. Personalmente non mi convince molto, ma ha un programma. Prodi ha un concetto di alleanza a sinistra e al centro che ha funzionato due volte! Certo, poi è difficile mantenere insieme al governo del paese tanta gente diversa, ma questo rimane – fino a prova contraria! – l’unica maniera per uscire fuori dalle ragnatele consociative e clientelari (Comunione & Liberazione docet in proposito) cui sono avviluppati tutti gli affari e gli affaristi che abbondano a destra e a manca.

Ma soprattutto Prodi, cari amici e compagni del PD, dopo la defenestrazione da parte dei 101 è ormai l’inconscio etnico del PD: rappresenta cioè quello che c’è ma non si deve sapere! Poiché il carattere etnico del gruppo – la sua parte più solare – non può ammettere che nelle carni della sua parte più nascosta e serotina sia cesellato a lettere cubitali il segno indelebile del tradimento.

Proponete a gran voce Prodi come candidato segretario e presidente del consiglio. Lo faccia Civati, invece di confluire – come si dice – sul candidato di D’Alema e della Finocchiaro. Non possono non ammetterlo. E vedrete che, come un Cincinnato, lui lascerà le sue incombenze private, per ripulire realmente il partito e riprendere le redini del paese.

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