Reggio, amen per il governo locale?

Dino Angelini

24.6.13

La diatriba scoppiata fra domenica 23 e lunedì 24.6 all’interno del PD reggiano è apparentemente centrata sui problemi nazionali. Renzi si: per vincere. Renzi no: la direzione provinciale ancora non si è espressa.

E da una parte i neorenziani, pur essendo già confluiti “a prescindere” sulle posizioni del sindaco fiorentino, si chiedono quali siano queste posizioni (Mah!?). Mentre dall’altra s’invoca il parere della direzione provinciale (che ancora non si è espressa) rischiando di mettere i maggiorenti contro i circoli. Che si vanno esprimendo, pare. Ma non su Renzi, bensì sul tradimento dei 101. Un dibattito “alto”. Con il cortese invito a Ferrari, da parte dei civatiani, a farsi da parte.

Cosa c’è dietro questo improvviso tourbillon di posizioni? A mio avviso non (o non solo) la politica nazionale, ma anche (e soprattutto) quella locale. Con la fine anticipata della seconda ed ultima consigliatura Delrio, e con le elezioni amministrative ormai alle porte (comuni, regione e l’ente di secondo livello che prenderà il posto della provincia) la lotta interna per il governo locale diventa sempre più aspra. Soprattutto dopo che l’improvvisa implosione del M5Stelle probabilmente rende più probabile la conferma dell’attuale gruppo che gestisce a Reggio il potere locale a partire dall’inizio della seconda repubblica.

La svolta a Reggio Emilia – in un momento drammatico per la sinistra nazionale e locale – l’aveva promossa e silenziosamente attuata la Zarina. Che aveva tratteggiato insieme agli ex-Dc il nuovo volto del potere locale, varandolo senza tanti squilli di tromba, come spesso si è abituati a fare da queste parti. Il passaggio al welfare mix nella sanità e nel sociale, la nascita dell’Istituzione e l’accordo con le materne private appoggiandosi sui progetti di “aziendalizzazione” (De Lorenzo!) previsti dagli ultimi governi della prima repubblica. Le grandi opere locali (Mediopadana, Calatrava, Area Nord) che, insieme all’enorme ampliamento delle aree edificabili, finivano per tratteggiare un nuovo volto dell’imprenditoria reggiana. Le fin troppo disinvolte operazioni sul fronte finanziario (BIPOP-Carire) che ridisegnavano (si fa per dire) il fronte del risparmio e cercavano di coinvolgere nell’area del governo locale anche l’altra parte degli ex-Dc locali: gli avversari di sempre di Castagnetti e dei suoi amici aclisti e dossettiani. Ed infine il primo, ancor timido, attacco all’AGAC che Antonella Spaggiari e i suoi trasformano in Enia.

Poi nove anni fa l’ulteriore passaggio: quello alle due giunte Delrio. Non qualitativamente difforme da quello impresso all’economia locale dalla Spaggiari, anzi in continuità sostanziale con esso. Tranne che sul piano della definizione degli uomini e delle donne che a poco a poco in quegli anni presero ad occupare  i posti di comando in città. Memorabile fu il momento della staffetta, con la Spaggiari e i suoi che traslocarono, o rimasero – come da accordi intercorsi – a presidiare i vari luoghi del potere economico e finanziario.

Si ricordano meno alcuni elementi abbastanza inquietanti che precedettero quel passaggio. L’improvvisa sostituzione di Grazioli alla direzione della Gazzetta di Reggio, e – quasi a seguire (se la memoria non m’inganna) – l’allontanamento da Reggio di quel salesiano scomodo che si chiamava Don Chiari. Lo scambio avvenuto in sede regionale fra ex-Pci ed ex-Dc che portò Delrio a Reggio e Cofferati a Bologna. La strenua difesa da parte della Silvia Bartolini (cioè di colei che cinque anni prima aveva già consegnato la città di Bologna a Guazzaloca) di Delrio, autore dei primi tentativi di messa in mora in Regione della 194 (la famigerata esperienza di Zola Predosa).

I nove anni di Delrio ci hanno regalato il completamento del passaggio al welfare mix, che è prevalentemente profit nella sanità, e “no profit” nel sociale (le ASP!!). Hanno permesso la costosissima prosecuzione delle grandi opere locali con l’eccezione dei propositi di cementificazione accelerata dell’area nord, che sono venuti meno (per ora) solo a causa della crisi economica mondiale. Hanno spinto viepiù l’imprenditoria reggiana verso un destino di subordinazione alle commesse pubbliche: vedi ciò che chiede oggi la Confindustria sugli appalti che dovrebbero innervare la Mediopadana con le periferie viciniori. Hanno esteso l’attacco alle municipalizzate trasformando l’Enia in un colosso, Iren, che alle spalle ha l’alta finanza italiana e vaticana, e hanno posto mano alle Farmacie Comunali.

L’unico elemento di frizione visibile (uno dei pochi elementi d’instabilità presenti ancora nella nostra altrimenti sonnolenta città!) è la perdita del pieno controllo della Manodori perché all’accordo di nove anni fa con la Spaggiari è seguita una guerra guerreggiata con lei e con i suoi nuovi amici, alcuni dei quali sono confluiti nel suo improvvisato progetto di Città Attiva.

Cosa è scaturito nel frattempo? Dalla saturazione del welfare mix a dalle privatizzazioni le nuove clientele, spesso composte nei gradi bassi da giovani precari, ricattabili e corruttibili, e ai vertici da alti papaveri che – come mi pare di cogliere anche in quest’ultimo piccolo ma significativo passaggio interno – per un posto nei circoli del potere locale non si fanno soverchi scrupoli. Dagli affari nell’edilizia non solo i rischi di infiltrazioni mafiose, ma anche e – direi – soprattutto  la crescita di una nuova classe imprenditoriale locale che per questa china è destinata a intrecciare ulteriori insani embricamenti con i governi locali da una parte, di qualunque colore essi siano. E con i poteri criminali dall’altra.

Amen? Direi di si, per ora.

Aspettiamoci però ulteriori segnali di riposizionamento contrastato, e negoziato sottobanco. Nella speranza che nel frattempo sorga un aspro confronto fra questo mastodonte, portato sempre più ad assorbire trasformisticamente ogni conflitto e ogni riposizionamento interno, ed una opposizione locale che sappia abbandonare i miti (e i riti) del passato, e unirsi intelligentemente sui temi del presente.

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