Il partito delle primarie

Dino Angelini

17.12.12

Le ultime primarie del centrosinistra hanno costituito senz’altro un evento storico destinato, comunque vadano le prossime elezioni politiche, ad incidere profondamente sull’Italia prossima ventura; e ancor di più sulle sorti della sinistra italiana. Evento che ha portato a termine, in maniera certamente più compiuta, quel movimento, – innescato da Prodi nel 2005 e prima ancora, come vedremo fra un po’, da Occhetto nel 1989 – che ha inciso profondamente sulla forma che a partire dal dopoguerra si erano dati i partiti della sinistra italiana.

I più giovani fra noi non hanno memoria diretta della cosa, ma dopo la seconda guerra mondiale il rinato PCI rivide profondamente la propria forma-partito, cercando di adattarla alla nuova situazione che si era venuta a creare. Cosicché, mentre fino a qualche mese prima il PCI era un partito (clandestino) di quadri, a partire dall’immediato dopoguerra, di fronte al ritorno della democrazia, diventò un partito di massa.

Uno strano partito di massa che, come la coeva DC, cominciò a mettere velocemente in piedi un insieme molto capillare di strutture di base, capaci di captare precocemente ogni sia pur minimo movimento tellurico che stava avvenendo nella società. Ma che, diversamente dalla DC che decideva in base ad accordi correntizi fra i vari gruppi dirigenti, continuava a prendere delle decisioni sulla base del “centralismo democratico”.

Un partito cioè che prese a strutturarsi e ad agire come un qualsiasi partito di massa, ma che manteneva al vertice – per poi riprodurre a cascata in ogni interstizio –  un modello decisionale “bolscevico”, che in verità di bolscevico non aveva più nulla. Ma che intanto definiva una specie di contro-società, capace di creare una propria ‘opinione pubblica’ non permeabile dall’esterno; in secondo luogo garantiva un legame dei militanti con la tradizione; ed infine permetteva di mantenere una unità granitica anche di fronte ai traumi più sconvolgenti. Vedi ciò che (non) accadde dopo i fatti d’Ungheria.

Tutto ciò cominciò ad entrare lentamente in crisi mano a mano che prese a trasformarsi, fino a scomparire, la società sulla quale era stato confezionato questo abito togliattiano. In questo modo la nuova società che andava nascendo col boom economico diventava sempre più sfuggente ed enigmatica per il PCI degli anni che precedettero la sua scomparsa: basta considerare l’obsolescenza di giornali quali “Rinascita” negli anni ’70 e ‘80 per rendersene conto.

Il primo segnale della svolta è proprio la Bolognina. Laddove Occhetto si reca ‘prima’ di avere riunito gli organi dirigenti del partito, inaugurando quella logica basata sugli eventi, più che sui programmi, che tanta parte ha ora nel modo di funzionare delle nuove forze politiche della sinistra, e non solo.

L’evento – come mostrerà poi Prodi col suo pullman, e come aveva già dimostrato Berlusconi con i gesti simbolici che segnano la sua “discesa in campo” – nasce sotto il duplice segno dell’individualità e della temporalità puntiforme. Segni che hanno la stessa valenza a si rafforzano l’uno con l’altro poiché l’individualità sposta l’attenzione dal programma all’uomo (Bersani o Renzi?); e allo stesso modo il procedere in maniera puntiforme da un evento all’altro sbriciola la longitudinalità all’interno delle quale si ponevano i programmi.

Il risultato di questa duplice azione è la fine della logica programmatoria e, nello stesso tempo, l’inizio di tutta quella teoria di cambiamenti che portano al partito leggero e all’abbandono di ogni luogo interno capace di analizzare autonomamente la realtà e definire in base, a questa analisi, una “linea”.

Oggi anzi non c’è più linea. E tutto procede in base alle sollecitazioni che provengono dall’esterno: dai media, dai guru capaci di predisporre risposte ad hoc a seconda della porzione di elettorato cui ci si rivolge, dalle sollecitazioni dei poteri forti che s’inseriscono pesantemente in questo vuoto, quasi sempre in base ai propri interessi immediati (Confindustria, corporazioni).

E d’altra parte i riferimenti alla storia e alla tradizione vengono sostituiti con un titillamento dei potenziali elettori in base ai miti ai quali si presume essi si richiamino (il Papa Giovanni di Bersani). Mentre il procedere puntiforme da evento ad evento produce un affastellarsi di proclami, propositi, “i care”, “rimbocchiamoci le maniche”, “Unioni” e “noi correremo da soli” che si sommano acriticamente e confusamente gli uni agli altri. E, soprattutto, non sono mai preceduti da una vera e ramificata discussione collettiva.

Insomma, la politica è trattata come un prodotto intercambiabile che deve vincere la concorrenza di altri prodotti. Il che nel mondo delle merci è normale. In quello della politica l’indizio di un vero e proprio rivolgimento, che sul piano organizzativo poggia su di un vero e proprio dispositivo molto complesso.

Dispositivo che si basa su di un partito leggero, che opera prevalentemente da evento ad evento in base a decisioni prese dal leader, sentite varie consorterie, spesso esterne al partito stesso. Gli eventi, diventati in questo modo l’elemento clou del partito, sono accuratamente preparati dai guru che il leader si dà e che spesso sono tecnici “à la carte” che possono migrare da un polo all’altro (Rondolino, Gori).

I guru sono specializzati a leggere i sondaggi. E a confezionare, in base a ciò che suggeriscono questi indovini del futuro prossimo, un pacchetto di slogan pensati ad hoc e in contemporanea: – per i media; – per un oggi che non ha alcuna continuità né col passato né col futuro remoto; – per ‘pubblici’ diversi e spesso antitetici (in questo il grillismo è in perfetta sintonia con gli altri partiti); – e soprattutto per l’embrasson nous quotidiano con i rappresentanti dei poteri forti.

La personalizzazione e la volatilità temporale delle opzioni politiche così confezionate infine da una parte uccidono il collateralismo, che era stato un grande contenitore di idee divergenti sia per il Pci che per il mondo cattolico poiché mancano le basi discorsive e programmatiche su cui si definiva il collateralismo. Dall’altra marginalizzano la militanza per sostituirla con un volontariato rapsodico, poiché legato ai singoli eventi, che si limita a darsi da fare per la loro buona riuscita, e poco più.

Il risultato di questo rivolgimento è la costruzione di un ‘pubblico’ passivizzato e sempre ad hoc, promossa e curata da questo dispositivo e sostenuta dalla maggior parte dei media. Costruzione, e continua ricostruzione che funziona e continuerà a reggere a mio avviso finché un qualche evento traumatico tipo Grecia non sveli ciò che effettivamente si sta muovendo sulla scena.

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