La nuova giunta

Dino Angelini

2.7.14

Parafrasando Labriola si potrebbe dire che, le giunte – come le idee – “non cascano dal cielo”, ma rappresentano un determinato blocco sociale che si forma e si trasforma negli anni. Più volte negli anni scorsi mi è capitato di sottolineare – anche su queste pagine – gli elementi di continuità esistenti fra le giunte della Zarina e quelle di Delrio.

Ovviamente a fianco agli elementi di continuità vi sono anche quelli di discontinuità e di specificità che vanno ascritti da una parte a ragioni di carattere congiunturale, dall’altra al diverso peso che i vari gruppi di pressione presenti all’interno del blocco sociale riescono ad esercitare nel tempo, dall’altra infine alle caratteristiche specifiche e personali del sindaco e di ciascun componente della sua squadra.

Io penso che tutte queste componenti siano destinate a incidere anche sui programmi e sull’azione concreta della nuova giunta. Quali saranno gli elementi di continuità e quali quelli di discontinuità fra le giunte Delrio e l’attuale? È prematuro dirlo. Certo è che nel ventennio scorso le ultime due giunte Spaggiari e quelle Delrio sono state caratterizzate da una linea e da un’azione politica che sotto certi punti di vista ritroviamo in tutta la regione e che potremmo riassumere così:

La nascita – dopo la prima inaspettata vittoria di Berlusconi e come difesa dai possibili contraccolpi di questo fatto sconvolgente poteva produrre anche in sede locale – di un nuovo centrosinistra che nasce dall’incontro fra ex-PCI ed ex-DC “democratici” e prodiani; alleanza che nei primi anni continua a far perno sul PDS, ma che fin dall’inizio vede negli ex-DC dei partner molto più dinamici dei socialisti della prima repubblica perché capaci di segnare la linea politica con le proprie idee, con le proprie mire, e a partire dai propri corposi interessi.

L’opzione per un preciso modello di crescita della città, basato sulla cementificazione e sulla speculazione edilizia, che ha avuto in Malagoli il suo ammiraglio, e che ha incanalato sempre più Reggio verso una vera e propria situazione di stress ecologico; oltre che di rischio da un punto di vista della legalità. E la discontinuità che si registra su questo piano fra le giunte Spaggiari e l’ultima giunta Delrio non è da ascriversi ad un improvviso ravvedimento di quest’ultimo, ma alla crisi economica mondiale che ha minato alle fondamenta questo tipo di speculazione.

La sostanziale privatizzazione del welfare locale, che parte dalla convenzione con il privato nelle scuole dell’infanzia per giungere più di recente alla nascita delle ASP (Aziende di Servizi alle Persone), ai prodromi di quello che si profila come un sostanziale processo privatizzazione delle Farmacie Comunali. Secondo un modello che potremmo riassumere così: al privato profit quei settori del welfare che si basano su un’alta composizione organica del capitale (ad es. gli ospedali convenzionati); al no profit il resto.

Su questo piano il passaggio dalla Zarina a Delrio ha reso ancora più marcato ciò che già la Spaggiari aveva provveduto a cedere al mondo cattolico: e così si è passati, con una accelerazione scandalosa nel decennio Delrio, dalla privatizzazione alla clericalizzazione del welfare.

L’assalto ai beni comuni, che ha in Iren il suo caposaldo, e che consiste essenzialmente nella privatizzazione dell’acqua in tandem con l’alta finanza italiana e vaticana, è l’altro vettore intorno al quale si è andato agglomerando il nuovo blocco sociale che governa la città. Anche su questo piano vi è un elemento di discontinuità fra il primo decennio e quello successivo. Anzi direi che è su questo piano che forse si sono registrate più frizioni all’interno del blocco. Le ragioni che hanno spinto Delrio a fare questa combine con Torino e Genova sono ancora poco chiare. La sua personale carriera pare avere avuto più di un beneficio, ma non credo che tutto possa essere ricondotto a questo.

Il quarto ed ultimo vettore è costituito a mio avviso dalla finanziarizzazione dell’economia reggiana e dal suo doppio allontanamento: dall’economia reale e dal territorio locale. Questa tendenza, – che da qualche tempo vede come protagoniste perfino le coop, che in questo modo si vanno sempre più allontanando dalla loro funzione di ammortizzatori sociali – ha determinato una profonda discontinuità con quello che fu negli anni ‘70 il comportamento dei protagonisti del boom economico reggiano che reinvestivano nell’innovazione e nella produzione locali. Discontinuità cui si aggiungono, come dimostrano anche i più recenti eventi, le asperità ed i rischi che la finanziarizzazione comporta.

Le responsabilità che la politica locale ha avuto su questo piano forse sono meno dirette e più tangenziali di quelle che ha esercitato nel definire le prime tre colonne che caratterizzano il blocco sociale che ci governa. Ma anche su questa quarta colonna un’amministrazione locale accorta avrebbe potuto e dovuto muoversi più risolutamente nel senso di favorire un rapporto con le banche, la finanza e l’Europa in funzione virtuosa ed anticiclica.

Questi a mio avviso sono gli elementi sui quali dovrà operare la giunta Vecchi. I gradi di libertà consentiti al fine di disegnare un proprio programma ed una propria linea di azione a me paiono ampi. Spetta a lui e all’intera giunta cercare la propria strada approfittando – come si diceva all’inizio – degli elementi congiunturali presenti e futuri, del diverso peso che la giunta sarà disposta a concedere nel tempo alle varie componenti del blocco sociale che la sostiene, ed infine alle caratteristiche personali di Luca Vecchi e di ciascun membro della sua squadra.

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