Giocavamo nella Cittiggì

di Dino Angelini

 

apparso su: “Locorotondo. Rivista di economia, agricoltura, cultura e documentazione della Valle d’Itria, N.57 Agosto 2023, pp. 103\110

 

Quando ero piccolo il ‘Locorotondo’ era una squadra di pallone con tutti i crismi: mio padre mi portava allo stadio ogni volta che la squadra giocava in casa. Era il tempo delle lotte anticoloniali dei Mau-Mau, e con questo termine, per me allora astruso, venivano puntualmente insultati gli arbitri che osavano non essere casalinghi.

Poi – più o meno al tempo in cui passai alle medie – questa squadra, in cui, per dire, avevano giocato sia Peppe Giacovazzo che Angelo Campanella, di punto in bianco sparì. E ‘il campo del pallone’, abbandonato a se stesso, cominciò a inselvatichirsi e a deperire: sui lati presero a crescerci le erbacce; e il centrocampo diventò sempre più polveroso, come le due aree del portiere, che per di più avevano entrambe le porte con le reti che col passare del tempo apparivano sempre più sbrindellate e melanconiche.

Fu in quel periodo che nacque la CTG: ‘a Cittiggì’, come continuarono a chiamarci anche dopo l’arrivo delle undici maglie granata, che avevamo comperato a Taranto, dopo esserci tassati per oltre un anno per poterle acquistare. E dopo che per darci un tono ci demmo il nome di G. Combi (la Gi_Combi), in onore del grande portiere della Juve e della Nazionale.

Ed è di questa squadra che voglio parlarvi: era la squadra degli studenti, giustapposta – più che contrapposta – a quella degli operai: l’altrettanto mitica “Mazzola”; e talvolta a quella più ectoplasmatica de chìre de ‘bascie Sante Rocche’ [di coloro che abitavano giù a San Rocco], che -come l’Araba Fenice- si faceva, si disfaceva, per poi magari rinascere dalle proprie ceneri.

Si trattava di sfide in cui una delle componenti era l’appartenenza sociale? Certamente. Ma si giocava senza alcun astio, e con un fair play che poi non ho più ritrovato. E sempre senza pubblico!

La stessa cosa avveniva quando giocavamo con i “Cistranesi”, con i fasanesi, e con la squadra dei martinesi di Dell’Erba. La situazione era così pacifica che spesso giocavamo senza arbitro. E, a parte qualche rara partita a Martina o a Fasano, giocavamo sempre in casa. Con gli spalti vuoti, ma in casa! e forse questa mancanza di spettatori e di tifo era all’origine del nostro fair play.

Giocavamo in casa perché avevamo a disposizione un campo abbandonato, per accedere al quale bastava chiedere le chiavi in Municipio. I Cistranesi invece, a Cisternino potevano giocare solo nell’angusto campetto dei Salesiani, per cui venivano volentieri a giocare a Locorotondo. Ma anche  la squadra di Dell’Erba, che sul campo del Martina doveva subordinarsi alle esigenze della squadra locale, che giocava in Quarta Divisione, veniva volentieri a giocare da noi, che potevamo prenotare liberamente il campo senza problemi.

In questo contesto così particolare non so con precisione a chi di noi venne l’idea di mettere su una squadra. Certo è che le maglie granata le portammo fin dalla fondazione, avvenuta intorno al 55\56. Andò così: all’Azione Cattolica locale erano arrivate otto canotte da pallacanestro: erano granata, con un filo giallo sui bordi; ed erano state donate dal Centro Turistico Giovanile (CTG). E, dato che a Locorotondo allora la pallacanestro, intesa come sport praticato, non esisteva, furono dirottate alla neonata squadra, che quasi per inerzia prese il nome di  CTG, con una femminilizzazione dovuta al sottinteso che si trattava di una squadra: ‘a Cittiggì, per l’appunto.

All’inizio perdevamo sempre: ricordo la prima partita con i Cistranesi, che finì con un più che tennistico 7 a 1 per loro. Eravamo più piccoli d’età, e abituati a giocare in strada, al massimo nell’attuale Piazza Mitrano (abbàscie o làrie da fière): lì dove oggi c’è quella teoria di negozi e di bar, e dove allora si accampavano i circhi equestri quando raggiungevano Locorotondo. Cioè eravamo a nostro agio negli spazi ristretti, ma spersi e subito senza fiato nel grande spazio del campo da gioco.

I nostri allenatori erano Gino Palmisano e, in sua assenza, Paolo Smaltino. Da loro imparammo subito a disporci in campo: e lo facemmo applicando rigidamente il cosiddetto doppiovuemme, altrimenti detto “sistema”, con il portiere (1. Enzo Cervellera); due terzini (a dx 2. Franco Martini; a sin. 3. Umberto Conte); tre mediani (a dx 4. Geppino Calella; al centro 5. Natuccio Zigrino, che giocava in linea con i due terzini, e a sin. 6. Enzo Curigliano); due mezze ali: a dx. 8. Sandro Bagnardi (e in sua vece Francuccio Satalino); e a sin. 10 Franco Crovace, che con i due mediani laterali componevano il cosiddetto quadrilatero. Ed infine tre attaccanti. A dx. 7. Leonardo Smaltino; al centro 9. Michelino Gianfrate; e a sin. Il sottoscritto: 11. Dino Angelini.

E, siccome anche i nostri avversari si disponevano in campo applicando il doppiovuemme, capitava spesso di avere sempre lo stesso avversario diretto. Quando giocavamo con i martinesi della Dell’Erba il mio era sempre Scennére (Gennaro): arrivammo a salutarci cordialmente ogni volta che ci incontravamo, ma ciò non ci impediva poi di scontrarci fieramente. Epici erano gli scontri fra il nostro Franco Martini e Duddùzze (Leonardo Pastore) della Mazzola, che erano amicissimi, e perciò capaci di ogni sotterfugio pur di togliere la palla all’altro.

Subito dopo la nascita della Cittiggì alla squadra dei titolari si aggiunse presto quella degli juniores: ricordo che Pasqualino Gianfrate era il nostro centromediano, Filippo Recchia l’ala destra, Zinzi Walter la mezzala, mio fratello Antonio il centroavanti, e Micheluzzo Mitrano l’ala sinistra. Ma moltissimi erano coloro che giocavano con noi, soprattutto quando andavamo ad allenarci sul campo; o, a fine estate, sui campi di contrada “Pappacìdde” (che allora era ancora bosco), dove in mezzo ai cespugli di lentischio avevamo creato un campetto polverosissimo sul quale, letteralmente, facevamo sera inseguendo un improbabile pallone pieno di gobbe, che andava di qua e di là [Nella foto qui a fianco: Settembre 1959 o 60, Una parte della G. Combi si allena sul campo di “Pappacìdde”. Riconoscibili in piedi da sin.: Dino Angelini, Gino Palmisano, Michelino Gianfrate, Leonardo Smaltino ed Enzo Curigliano. Accosciati, sempre da sin: Umberto Conte, Zinzi Walter, Natuccio Zigrino (di gran lunga il migliore di noi), Lino Palmisano (non ancora “Don”). Disteso davanti a tutti: Enzo Cervellera].

Ed a proposito dei nostri giocatori: come non ricordare il nostro primo centroavanti: Francesco (Ciccio) Calella, fratello maggiore di Geppino, che era cardiopatico e che poi purtroppo morì. Ricordo che quando ci allenavamo Ciccio era sempre con un orecchio teso al rumore della giardinetta di suo padre, che spesso veniva a cercarlo per impedirgli di giocare. Tutte le volte in cui capitò, lui velocissimamente prendeva le sue robe (che, come tutte le altre, erano ammonticchiate lungo la rete di recinsione interna al campo) e con un balzo felino saltava le sue mura esterne.

Va detto però che, al di là delle gravi e fondate ragioni che spingevano Don Arcangelo Calella a inibire la voglia di giocare del suo sfortunatissimo figlio, molti erano i genitori che vedevano di malanimo il nostro amore per la pratica sportiva: io stesso all’inizio ogni volta che andavo al campo dovevo calare dalla finestra di casa il mio cambio. Ho sempre pensato che questi atteggiamenti genitoriali fossero dovuti al fatto che nella loro giovinezza, sotto il fascismo, dovevano aver fatto indigestione di ginnastica.

 

Tornando a noi: a causa dei continui allenamenti, dell’applicazione puntuale del doppiovuemme, e soprattutto del fatto che stavamo diventando più grandi, dopo un po’ di tempo cominciammo a vincere: la soddisfazione più grande fu quella di battere più volte i temibili e bravissimi Cistranesi!! Con la Mazzola la partita fu sempre aperta, ma sempre molto leale. E ancora sento dentro di me la fierezza che venne in tutti noi allorchè finimmo il 1959 imbattuti.

Poi, verso il 1962\63 la squadra si sciolse. O meglio: alcuni di noi trasmigrarono nei luoghi in cui andarono a studiare (o a lavorare, come più spesso accadde ai nostri amici-avversari della Mazzola), portandosi dietro l’amore per il calcio giocato (io, ad esempio, giocai nel Centro Universitario Sportivo di Sociologia, ma soprattutto tornai a giocare per strada, alle spalle dell’Università, a Trento). Altri passarono nella rediviva squadra del ‘Locorotondo’, allenata sempre da Gino Palmisano, che non ebbe certamente vita facile in seconda divisione. Altri ancora – come il migliore di noi: Natuccio Zigrino – in squadre altolocate, destinati ad una vera e propria carriera da semiprofessionisti.

All’improvviso, proprio mentre scrivo queste righe, mi torna in mente il film “I vitelloni”; e precisamente il momento in cui la storia un po’ malinconicamente inizia, sotto un acquazzone settembrino che sguasta una festa sul mare, creando un fuggi-fuggi generale. Ecco: é proprio da quella diaspora, abbattutasi all’improvviso su di noi come un acquazzone, che iniziarono, forse, le nostre vite adulte.

Reggio Emilia, Primo Maggio 2023

Potrebbero interessarti anche...