Sul blocco sociale che si va consolidando intorno alla parte più moderata del centrosinistra reggiano

di Dino Angelini

La permanenza di un quadro nazionale incentrato (speriamo ancora per poco) intorno alla figura di Berlusconi ed al suo gruppo di potere pone in ombra non solo ciò che sta avvenendo a livello centrale nelle forze di opposizione, ma anche i cambiamenti che stanno avvenendo a livello locale e le mille contraddizioni che li attraversano.

Nella situazione reggiana ciò equivale al persistere di una serie di non detti intorno a questioni importanti per il futuro della città e del territorio provinciale che in altri tempi avrebbero sollevato pubblici dubbi e pubbliche discussioni destinate, in base ad una tradizione riformista incentrata sull’ascolto, a sfociare in un secondo momento in emendamenti ai programmi ed alle azioni volte al cambiamento.

La situazione nazionale di stallo cioè blocca la discussione sia a livello generale che locale; e dentro questo vuoto pneumatico le cose a livello locale si dispiegano, nell’assenza di dibattito, in base ai desiderata dei gruppi dirigenti locali che per di più, almeno nel caso reggiano, non si esprimono mai in programmi chiaramente espressi sul piano della dialettica fra interessi diversi, contrapposti o componibili ch’essi siano.

Che cosa possiamo intravedere in base a ciò che si sta facendo e ci si propone di fare a Reggio Emilia? Quali le forze sociali favorite all’interno di questi programmi, al di là di ciò che propagandisticamente si dice nei cento tavoli messi in piedi a far da paravento “democratico” alle decisioni prese dai vertici istituzionali locali? E quali quelle soccombenti, al di là di ogni farisaico piagnisteo sui poveri, sulle donne, sui giovani, etc. etc.?

Premesso che il mio punto d’osservazione è limitato e perciò impossibilitato a vedere le cose in piena luce, almeno quattro a me paiono le direttrici del cambiamento: per ognuna di esse c’è – ripeto – chi trae o può trarre vantaggi dalle trasformazioni in fieri, e c’è chi invece si ritrova svantaggiato, o rischia di diventarlo.

– Innanzitutto la speculazione edilizia che ha fatto del nostro territorio il più cementificato della regione: e qui tutta la discussione sull’Area Nord e sulla stazione mediopadana a me pare solo come l’attualizzazione di vecchi propositi, di vecchi programmi che furono anche della giunta precedente e che hanno portato allo stress ecologico attuale.

– In secondo luogo la finanziarizzazione dell’economia ed il suo doppio allontanamento: 1. dall’economia reale che già in passato ha portato in sede locale (BIPOP-Carire) ai disastri che sappiamo; disastri però che – a parte Gabriele Franzini, Giorgio Salsi e pochi altri – sono sostanzialmente passati sotto silenzio; 2. ma anche allontanamento dal territorio reggiano: e ciò ha determinato una profonda discontinuità con quello che fu negli anni ‘70 il comportamento dei protagonisti del boom economico reggiano di allora che – non dimentichiamolo – reinvestivano nell’innovazione e nella produzione locali.

– Ricorderei in terzo luogo la sostanziale privatizzazione (e, per molti versi, clericalizzazione) del welfare locale, dalle ASP alla privatizzazione delle Farmacie Comunali e, a fare da battistrada, il modello di convenzione con il privato sulle scuole per l’infanzia. Privatizzazione che produce due effetti deleteri: – fa passare il welfare dal capitolo delle spese a quello delle entrate: apparentemente un vantaggio, ma proviamo a chiederci chi ci guadagna e chi paga, soprattutto tenendo conto che spesso si tratta di doppioni che si affiancano a quei servizi che ancora le amministrazioni non sono riuscite a chiudere; – rompe con una gloriosa (e laica) tradizione che aveva creato salario indiretto contribuendo, con le coop di allora, a definire un sistema di ammortizzatori sociali locali che è stato uno dei volàni della crescita del nostro territorio.

– Segue a ruota l’assalto ai beni comuni che Reggio ha portato insieme ad altri amministratori locali emiliani, piemontesi e liguri (con un balletto di assessorati che si sono incrociati lungo la direttrice Reggio – Genova). Tali amministratori pare che si siano imbarcati – come apprendisti stregoni – in un’impresa che pare avere al proprio interno forti componenti di finanziarizzazione e di privatizzazione dell’acqua che vede coinvolti molti nomi dell’alta finanza (compresa la finanza vaticana) e che ormai pare ragionare in termini di investimenti speculativi in Africa e in America Latina provenienti dai nostri beni comuni (cfr: http://www.scribd.com/full/44236397?access_key=key-1738vgquii903n5yc2ye).

È a partire da queste coordinate che, a mio avviso, è possibile comprendere la natura e gl’interessi reali del nuovo blocco sociale che si va consolidando intorno alla parte più moderata del centrosinistra locale. Le forze sociali alternative (sinistra radicale, femministe, grillini, laici, etc.) a mio avviso corrono due pericoli: – da una parte quello di mettersi a rimorchio di questo blocco sociale e di limitarsi a cavalcarlo nell’illusione di addomesticarlo; dall’altra rinchiudersi nella turris eburnea dell’ideologia e  limitarsi a fare i laudatores temporis acti. Sono, per tutti noi (!), la nostra Scilla e la nostra Cariddi: a mio avviso dovremmo cercare insieme un modo per evitare di fare naufragio su questi irti scogli.

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Una risposta

  1. Jaime Nazar Riquelme ha detto:

    Dino:

    Ciò che tu definisci “nuovo blocco sociale”, si è già composto da anni ed è conseguenza e fattore coerente con la fase neoliberista e “globalizzata” del capitalismo. Fattore, perché i suoi esponenti diedero inizio al processo privatistico teso ad alienare allo Stato le sue attribuzioni sul piano delle produzioni strategiche. Ecco perché ritengo più appropriato elencare questa “direttrice” in primo luogo anziché nel secondo in cui lo hai messo.

    In questo percorso le due anime ideologico-politiche italiane che lottarono contro il nazi-fascismo, separatesi dopo la fine del conflitto, ripresero poi lentamente ad avvicinare interessi che – grazie al boom economico, prima, e alla caduta del blocco sovietico poi -, finirono per allacciarsi cominciando dal settore agricolo-zootecnico con l’unione in taluni settori tra le coop “rosse” con quelle “bianche”, e in seguito nei settori fabbrile, industriale, commerciale ed economico-finanziario, per arrivare alla naturale unione che li consentisse di legiferare in favore della salvaguardia di tali molteplici interessi, vale a dire, il PD.

    Un processo di riproduzione del capitale di questo genere che ha portato ad una tale sintesi di carattere politico-legislativa, non penso che si possa continuare a definirlo “centro-sinistra”, né tanto meno cercare di distinguere al suo interno tendenze più o meno moderate, le quali, anche se ci fossero, non possono avere alcun ruolo deviante sull’impostazione strategica, vale a dire, favorire il percorso riproduttivo del capitale specie nei settori commerciale (grande distribuzione) e dei servizi (banche, assicurazioni), nei quali la sua componente finanziaria prende il sopravento.

    Inoltre, il problema che descrivi andrebbe visto in ambito internazionale, poiché codesti blocchi evidenziano nel mondo somiglianze straordinarie, non solo sul piano ideologico ma soprattutto su quello esecutivo. Tutti sono diventati in vario grado delle cinghie di trasmissione del potere economico-finanziario consolidato nelle alleanze tra le corporazioni industriali, commerciali e bancarie di investimenti transnazionali e multinazionali. Tutto quanto si è verificato e si sta verificando dal 2008 ad oggi, lo conferma in modo palese. Ecco perché codesti blocchi sociali dirigenziali “non si esprimono mai in programmi chiaramente espressi”.

    Ma anche se lo volessero, bisogna immaginarsi quali potrebbero essere con qualche plausibile possibilità di esistere, di fronte ad una pressoché totale alienazione delle attribuzioni statali sulle programmazioni economiche strategiche e sul controllo delle finanze nazionali, (eccetto quelle della difesa e delle forze dell’ordine), verso il settore privato rappresentato nelle Banche Centrali e da queste verso la Banca Centrale Europea, (e da questa verso il FMI e la Banca Mondiale). Ti sembra possibile che di fronte ad una situazione generale del genere i partiti cosiddetti “di centro-sinistra”, altrettanto paladini del capitalismo neo-liberale e finanziario quanto lo sono le forze di governo, sarebbero in grado di eseguire programmi alternativi? Qualcuno di essi si è mai pronunciato contro il pagamento di un debito chiamato pubblico, ma in verità privato? Qualcuno di essi si è mai pronunciato in favore di ridare agli Enti locali la facoltà di gestire in piena autonomia i soldi pubblici? Qualcuno di essi si è mai pronunciato per ridare il pieno carattere pubblico alla sanità? Qualcuno di essi si è mosso a favore del giusto finanziamento alla pubblica istruzione e alla sospensione di quelli concessi alle scuole private? No. Decisamente NO. E tu giustamente hai sentito la necessità di denunciare le altre tre “direttrici del cambiamento” locali che, ripeto, locali non sono.

    L’enormità della caduta delle sovranità degli Stati-nazionali è tale, che non vedo alcuna possibilità di contrastarla con gli abituali meccanismi elettorali di rappresentanza. Va difesa l’attuale Costituzione della Repubblica mediante una massiccia e organica partecipazione popolare capace di portare a termine le varie proposte di cambiamento elaborate nel suo seno, prima fra tutte, il controllo nazionale della Banca centrale e dell’intero sistema bancario.

    Come puoi vedere, il compito che c’è davanti è molto arduo.

    Ti saluto.
    Jaime

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